In Europa, il diritto all’aborto torna a essere messo in discussione. Amnesty International lancia un nuovo allarme: in diversi Paesi del continente si stanno moltiplicando le iniziative politiche, legislative e culturali che mirano a limitare o rendere più difficile l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Tentativi che, secondo l’organizzazione, rappresentano «passi indietro allarmanti» su un diritto fondamentale conquistato con decenni di lotte. Il rapporto di Amnesty denuncia come in alcuni Stati europei si stiano introducendo restrizioni dirette o indirette, talvolta con il pretesto di “riforme morali” o “tutele della vita”, ma che di fatto riducono la libertà di scelta delle donne e di tutte le persone che possono affrontare una gravidanza. Le misure vanno dal prolungamento dei tempi d’attesa obbligatori all’imposizione di consulenze obbligatorie, fino alla diffusione di campagne dissuasive che mirano a colpevolizzare chi sceglie di interrompere la gravidanza. Queste dinamiche, spiega Amnesty, rischiano di alimentare un clima di intimidazione e discriminazione. L’accesso all’aborto, pur restando formalmente garantito nella maggior parte dei Paesi europei, è in molti casi ostacolato da barriere legali, pratiche o culturali. In alcuni territori, soprattutto nelle aree rurali o meno servite, l’obiezione di coscienza è così diffusa da rendere l’aborto quasi impossibile, costringendo molte persone a viaggiare centinaia di chilometri o a rivolgersi a strutture private. L’organizzazione evidenzia inoltre come i governi e le istituzioni europee non stiano reagendo con la necessaria fermezza a queste tendenze. Amnesty sottolinea che il diritto all’aborto sicuro e legale è parte integrante del diritto alla salute e all’autodeterminazione, riconosciuto dal diritto internazionale dei diritti umani. Negarlo o renderlo inaccessibile significa mettere a rischio la vita, la salute e la...










