di Antonio Mazzeo –
Pagine Esteri. 25 gennaio 2022 (Giulio Regeni in una foto da commons.wikimedia) – Il Cairo, 25 gennaio 2016. La megalopoli è ipermilitarizzata, agenti di polizia e soldati sono ovunque, armati. L’ordine è reprimere in ogni modo eventuali manifestazioni contro il regime del dittatore Al-Sisi. E’ il quinto anniversario della rivoluzione egiziana mancata, quella dell’occupazione di Piazza Tahir da parte di centinaia di migliaia di studenti, lavoratori e disoccupati che 17 giorni dopo avrebbe costretto alle dimissioni il generale Hosmi Mubarak, alla Presidenza della Repubblica d’Egitto da oltre trent’anni. Al Cairo è giunto un giovane e brillante ricercatore italiano, Giulio Regeni. Ha ottenuto un dottorato presso l’Università di Cambridge; oggetto della ricerca i sindacati indipendenti egiziani. Il 25 gennaio sparirà nel nulla all’uscita di una stazione della metropolitana. Il corpo di Giulio, seviziato, verrà rinvenuto il 3 febbraio lungo la strada Cairo-Alessandria, in un luogo desertico alla periferia della capitale. A pochi chilometri di distanza c’è una caserma delle forze di sicurezza.
Gli inquirenti non hanno dubbi: si è trattato di un incidente stradale. Dopo un paio di giorni però si ricredono. E’ stato un delitto. L’italiano è stato ucciso durante una rapina o, forse, per motivi personali, una presunta relazione omosessuale o il consumo di stupefacenti. L’1 marzo 2016 una lacunosa relazione delle autorità forensi egiziane attesterà che Giulio è stato torturato per sette giorni a intervalli di 10-14 ore e infine ucciso una decina di ore prima del ritrovamento del corpo. La danza macabra delle false piste non si arresterà neanche di fronte i rilievi raccolti dagli inquirenti italiani, sfacciatamente boicottati ed ostacolati dai “colleghi” egiziani. Non verranno forniti i tabulati telefonici di interesse nei giorni della scomparsa per “non violare la normativa egiziana sulla privacy”, né le riprese video della stazione della metropolitana dove il ricercatore era stato visto l’ultima volta perché incredibilmente “cancellate”. O manomesse come ipotizza la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio Regeni (presidente l’on. Erasmo Palazzotto), che nella relazione finale annota che “nell’immediatezza dell’evento, gli egiziani avevano dichiarato di aver visionato i video pur non avendo riconosciuto il giovane”. (1)
Nonostante i muri di gomma, i depistaggi e le verità di comodo delle autorità del Cairo, la Procura della Repubblica di Roma riuscirà a dare un’identità ai presunti responsabili della morte di Giulio e a ipotizzarne il movente. Dopo l’iscrizione (dicembre 2018) nel registro delle notizie di reato di cinque alti ufficiali del Dipartimento di Sicurezza Nazionale e dell’Ufficio investigativo, il 20 gennaio 2021 è depositata la richiesta di rinvio a giudizio per quattro di essi: il generale Sabir Tariq; i colonnelli Mohamed Ibrahim Athar Kamel e Helmi Uhsam; il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali gravissime e omicidio, le accuse. “A seguito della denuncia presentata negli uffici della National Security, da Said Mohamed Abdallah, rappresentante del sindacato indipendente dei venditori ambulanti de il Cairo ovest, dopo avere osservato e controllato, direttamente ed indirettamente, dall’autunno del 2015 alla sera del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni, gli indagati, abusando delle loro qualità di Pubblici ufficiali, lo bloccavano all’interno della metropolitana e, dopo averlo condotto dapprima presso il Commissariato di Dokki e successivamente presso un edificio a Lazoughly, lo privavano della libertà personale per nove giorni”, scrivono i magistrati della Procura romana. I quattro ufficiali, in concorso con soggetti allo stato non identificati, sono accusati pure di aver torturato il ricercatore sino a causarne la morte.
Il procedimento ha però assunto l’aspetto di una vera e propria gara ad ostacoli riservando colpi di scena e ulteriori e ingiuste sofferenze ai genitori della vittima, Claudio Regeni e Paola Deffendi. L’udienza preliminare, inizialmente programmata per il 29 aprile 2021, è stata aggiornata per dell’indisposizione di uno dei difensori. Il successivo 25 maggio il GUP si è pronunciato favorevolmente contro gli imputati, fissando il processo per il 14 ottobre. Come non detto: all’udienza i giudici hanno disposto l’annullamento del decreto di rinvio a giudizio in quanto i quattro ufficiali risultano ancora “irreperibili” perché la magistratura egiziana non ha fornito gli indirizzi dove risiedono, né ha concesso ai magistrati italiani di presenziare ai loro interrogatori nonostante la rogatoria inoltrata il 5 maggio 2019. Il fascicolo è tornato al GUP: nel corso dell’udienza del 10 gennaio 2022 è stato affidato al Ros dei Carabinieri il compito di individuare gli indagati per la notifica degli atti. Ci si rivedrà in tribunale l’11 aprile per verificare l’esito degli accertamenti disposti.
“Giulio Regeni è finito nell’orbita dell’attenzione di uno Stato che, dall’inizio del 2021, ha condannato alla pena capitale 51 persone, dopo le oltre 100 condanne a morte del 2020 e dove, in attesa di giudizio, ci sono decine e decine di detenuti, tra i quali il cittadino egiziano Patrick Zaki, iscritto al Master in Studi di Genere presso l’Università Alma Mater di Bologna, che dopo la lunga carcerazione dovrà rispondere del reato di istigazione al rovesciamento del governo e della Costituzione per alcuni post pubblicati nella propria pagina Facebook”, annota amaramente la Commissione parlamentare d’inchiesta. Crimini e violazioni dei diritti umani sono pane quotidiano nell’Egitto di Al-Sisi. La polizia e le forze armate si sono macchiate di efferati delitti. Secondo la Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf) con sede al Cairo, tra il 2015 e il 2020 sono stati accertati 2.723 casi di sparizioni forzate (2). Nonostante i tragici report periodici di Amnesty International e Human Rights Watch, nessuno partner occidentale ha mai alzato la voce contro il governo egiziano, fedele alleato nella lotta al “terrorismo internazionale” in un’area, quella del Mediterraneo orientale e del Canale di Suez, di incomparabile rilevanza geostrategica.
“Pur conservando l’ingente sostegno annuale statunitense di circa 3 miliardi di dollari per le Forze Armate egiziane introdotto e mai abrogato a partire dall’accordo di pace sancito tra Egitto e Israele nel 1979, il nuovo regime, appena insediatosi nel 2013, ha potuto anche contare sull’ingente supporto economico di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita che nel solo 2013 gli offrirono circa 8 miliardi di dollari in aiuti”, ricorda la Commissione guidata dall’on. Palazzotto. “Tale supporto, oltre a stabilizzare il regime, ha inoltre giocato un ruolo cruciale nel permettere alla leadership egiziana di ignorare sostanzialmente le critiche occidentali alla rimozione del presidente eletto Morsi e alla severa repressione ai danni della Fratellanza musulmana seguita al golpe. L’appoggio ad Al-Sisi di sauditi ed emiratini si inquadra nella volontà di queste due potenze regionali di contrastare l’ascesa dell’influenza di Turchia e Qatar nella regione, divenute, soprattutto a seguito dei moti del 2011, i due principali sponsor delle diramazioni locali della Fratellanza”.
Ovviamente pure l’Italia si è guardata bene a non irritare le autorità egiziane, nonostante le gravi responsabilità nell’omicidio Regeni. La scelta di tutti i governi è stata quella del doppio binario: da una parte, sotto la crescente pressione dell’opinione pubblica che invoca verità e giustizia, è stata chiesta piena collaborazione alle indagini; dall’altra, però, sono stati tenuti aperti i canali di interscambio politico, economico e militare. “A partire dal 2018, le relazioni bilaterali tra i due Paesi hanno subito una nuova evoluzione iniziando un lento processo di normalizzazione testimoniato dalla ripresa di visite ad alto livello che hanno ingenerato un equivoco destinato a segnare una soluzione di continuità gravida di conseguenze per gli sviluppi del caso Regeni”, lamenta la Commissione d’inchiesta. Nonostante il crollo dei flussi turistici, i dati forniti dall’Istituto per il commercio estero evidenziano che la lieve flessione delle esportazioni italiane nel biennio 2018-19 è già “ampiamente rientrata” nel 2020 nonostante la crisi pandemica. E nei primi sette mesi del 2021 si è registrato un aumento del 62% delle esportazioni e del 12% delle importazioni rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
A determinare la necessità di mantenere stabili le relazioni con l’Egitto, l’interesse per le sue fonti energetiche e la sua dirompente domanda di sistemi d’arma. “L’ENI gioca un ruolo da protagonista nell’economia egiziana, a partire dall’approvvigionamento energetico garantito dal giacimento di gas naturale di Zohr”, scrive la Commissione, ricordando come il 14 gennaio 2019 ha preso il via al Cairo l’Eastern Mediterranean Gas Forum, promotori Egitto, Israele, Cipro, Italia, Grecia, Giordania e Autorità Nazionale Palestinese, per coordinare le politiche energetiche nel Mediterraneo orientale a partire dallo sfruttamento degli idrocarburi e degli impianti di rigassificazione (GNL) sulla costa egiziana. Nell’ultimo anno e mezzo l’amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi, si è recato tre volte al Cairo per incontrare personalmente Al-Sisi. Gli esiti sono stati lusinghieri. Il 15 giugno 2021 il gruppo italiano ha firmato con l’Egyptian General Petroleum Corporation (EGPC) un accordo che estende sino al 2036 le concessioni di gas nelle aree di Meleiha e Meleiha Deep, nel deserto occidentale egiziano. Una ventina di giorni dopo l’ENI ha concordato con altre due compagnie statali di verificare la fattibilità di produrre idrogeno in Egitto. (3) Alla vigilia di Natale c’è stato infine l’accordo tra ENI ed EGPC per una campagna esplorativa petrolifera nel Golfo di Suez e nel Delta del Nilo con investimenti “non inferiori ad un miliardo di dollari”. (4)
Anche l’esportazione dei sistemi d’arma all’Egitto è stato oggetto di approfondimento da parte della Commissione Parlamentare d’inchiesta sull’omicidio Regeni. “Già all’indomani del colpo di Stato dell’estate 2013 che avrebbe portato al potere il generale Al-Sisi, l’Italia si era uniformata alle indicazioni del Consiglio dei ministri degli esteri dell’UE volte a limitare le esportazioni di armi leggere utilizzabili a scopi repressivi”, ricorda la Commissione. “Negli anni immediatamente successivi alla morte di Giulio Regeni, le esportazioni in genere si riducono significativamente; negli ultimi anni invece, anche in sintonia con l’evoluzione in sede europea, l’Italia ha ripreso ad esportare armamenti verso l’Egitto in modo rilevante come mostrano le ultime relazioni al Parlamento (2019-2020)”. Dati alla mano, mentre nel biennio 2016-17 il valore della armi esportate si era ridotto a 7 milioni di euro rispetto ai 37 milioni del 2015, nel 2018 l’export si è attestato a 69 milioni (in massima parte radar di avvistamento terrestre), per esplodere nei due anni successivi: 871 milioni nel 2019 e 991 milioni nel 2020, collocando così l’Egitto al primo posto dei paesi destinatari delle esportazioni italiane di sistemi di guerra.
A contribuire al boom del 2020 la vendita alla Marina di due fregate multimissione FREMM (classe Bergamini), ammodernate ed equipaggiate nel cantiere navale di Muggiano-La Spezia da Fincantieri S.p.A., gruppo controllato per il 71,6% dalla Cassa Depositi e Prestiti. Le unità, consegnate lo scorso anno, hanno una lunghezza di 144 metri, possono raggiungere una velocità di 27 nodi e un’autonomia di crociera massima di 6.800 miglia e sono armate “con i più moderni sistemi da combattimento globale e tecnologici”, come spiegano i manager di Fincantieri: cannoni Leonardo da 127/64 mm e Super Rapido da 76/62 mm, missili superficie-aria MBDA SAAM ed Aster, ecc.. Operazione inconsueta ed eccezionale quella del trasferimento delle due unità all’Egitto. “Il 7 giugno 2020 una telefonata del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte al Presidente Al-Sisi mette al centro i temi della stabilità regionale, con particolare riferimento alla necessità di un rapido cessate il fuoco e ritorno al tavolo negoziale in Libia”, annota la Commissione d’inchiesta. “Pochi giorni prima, il 28 maggio, era stata trattata in Consiglio dei ministri un’informativa relativa alla vendita delle FREMM. Quel Consiglio dei ministri aveva iniziato la discussione per poi aggiornarsi sul tema all’11 giugno successivo, preliminarmente al rilascio dell’autorizzazione da parte dell’UAMA (l’Autorità nazionale per il controllo sull’esportazione di armi, nda)”. Ad agosto arrivava l’Ok definitivo del Governo.
Al Cairo si muoveva invece l’ambasciatore Giampaolo Cantini. Come riferito dalle autorità egiziane nel settembre 2020 il diplomatico s’incontrava con il ministro per la Produzione militare Mohamed Ahmed Morsi per favorire la cooperazione con le industrie italiane. “Nel corso dell’incontro un invito è stato anche rivolto alle delegazioni tecniche italiane a visitare le aziende di produzione militare egiziane per conoscere le capacità tecnologiche e umane e favorire la collaborazione per la produzione di attrezzature, software, ecc.”, aggiunge il governo egiziano. L’appello era colto al volo soprattutto da Fincantieri e Leonardo SpA con la sponsorizzazione di EDEX – Egypt Defence Expo, l’esposizione internazionale delle industrie di guerra prevista inizialmente al Cairo nel febbraio 2021 e rinviata per la pandemia a fine novembre. Della kermesse, inaugurata da Al-Sisi, Fincantieri è stata Headline Sponsor forse con la speranza di chiudere la trattativa per la fornitura di altre quattro fregate e di una ventina di pattugliatori d’altura. Leonardo, holding in mano per il 39% al Ministero dell’Economia e delle finanze, si è presentata ad EDEX reduce della maxi-commessa di 871,7 milioni di euro per la fornitura di 32 elicotteri da trasporto e combattimento alle forze armate egiziane. Attraverso la partecipata MBDA, Leonardo ha pure venduto all’Egitto numerosi missili superficie-aria VL-MICA per la Marina e i missili a lungo raggio SCALP per i cacciabombardieri dell’Aeronautica. (5)
A EDEX 2021 c’erano anche altre importanti realtà industriali come la Federazione delle Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza (AIAD), Elettronica S.p.A., Intermarine e IVECO Defence Vehicles. Quest’ultima, con sede a Bolzano, produce carri armati e veicoli blindati, e nel 2018 avrebbe consegnato agli egiziani alcuni mezzi MUV 4×2 per il trasporto di personale militare. Qualche mese prima della commessa, un rapporto di Amnesty International sulle armi francesi utilizzate dalla polizia egiziana aveva denunciato che il 27 luglio 2013, contro i lavoratori e gli studenti che manifestavano all’Al-Azhar University del Cairo, i reparti delle forze speciali avevano impiegato mezzi da trasporto e veicoli leggeri di produzione IVECO. L’uso di blindati di produzione italiana da parte della polizia per reprimere le manifestazioni popolari del giugno 2018 è stato documentato dalla Lega francese per i Diritti Umani, dall’Observatoire des armements e dall’Istituto del Cairo di Studi sui Diritti Umani pure. Alla fiera delle armi non poteva mancare una delle maggiori produttrici al mondo di armi da fuoco leggere, la Fabbrica d’Armi Pietro Beretta S.p.A. di Gardone Val Trompia (Brescia), fornitrice di pistole e fucili per le forze armate e di polizia egiziane. Secondo l’Osservatorio permanente sulle armi leggere OPAL di Brescia, solo nel 2014 il governo italiano ha autorizzato la vendita al Cairo di oltre 30 mila pistole, soprattutto del modello “Beretta 92FS”. “Per anni l’Italia è stato l’unico paese dell’Unione europea che, dalla presa del potere del generale Al-Sisi, ha inviato armi utilizzabili per la repressione interna”, ha commentato il ricercatore Giorgio Beretta. (6)
Capitolo a parte quello delle relazioni tra le forze armate italiane e quelle egiziane. Ascoltato dalla Commissione d’inchiesta sul caso Regeni, il ministro Lorenzo Guerini ha inteso precisare che lo Stato Maggiore della difesa “ha provveduto a rarefare” le visite, gli scambi di personale e le attività addestrative congiunte con l’Egitto, “escludendo, già a partire dal 2017, quelle di potenziale attenzione mediatica soprattutto per la controparte, quelle di alto valore operativo con il coinvolgimento di assetti pregiati, intelligence e forze speciali…”. Il supposto raffreddamento è smentito però dalle note emesse dalle autorità militari. Nel settembre 2018, ad esempio, mezzi e reparti dell’Esercito italiano sono stati impegnati in una complessa esercitazione aeronavale e terrestre nell’Egitto nord-occidentale (Bright Star), accanto alle forze armate egiziane e USA e di quelle di due imbarazzanti partner mediorientali, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, impegnati allora come adesso a bombardare la popolazione civile in Yemen. Tre mesi più tardi unità navali di Egitto, Regno Unito ed Italia (la fregata missilistica Carabiniere specializzata nella lotta anti-sommergibile) hanno condotto un’esercitazione in acque nazionali egiziane. Secondo lo Stato Maggiore del Cairo osservatori militari italiani hanno presenziato all’esercitazione aero-navale Medusa tenutasi nel Mediterraneo nel dicembre 2020, presenti Egitto, Grecia, Francia e Cipro.
Il 20 maggio 2021 due fregate, l’egiziana “Al-Galala” e la “Carlo Margottini” della Marina italiana hanno preso parte ad un’esercitazione a largo della città di Alessandria. “Le unità hanno affrontato un rapido avvicinamento con lanci di trappole esplosive e hanno effettuato un’operazione d’intercettazione marittima su una nave sospetta”, scrive lo Stato Maggiore italiano. L’addestramento ha coinciso con la prima uscita operativa della nave egiziana della classe FREMM consegnata da Fincantieri a fine 2020. Dal 16 al 28 maggio 2021, nel Canale di Sicilia, unità da guerra di Italia ed Egitto sono state impegnate con altri 11 paesi nell’esercitazione Phoenix Express, sotto la direzione di US Africom, il comando per le operazioni delle forze armate USA nel continente africano, e del comando delle forze navali Usa in Europa e Africa di stanza a Napoli. (7) Ufficiali dell’Esercito hanno partecipato invece all’edizione 2021 di Bright Star (2-17 settembre), svoltasi ancora una volta nella regione nord-occidentale dell’Egitto, insieme alle forze armate di Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati Arabi; Bahrain, Iraq, Kuwait, Giordania, Pakistan, Sudan, Marocco, Tunisia, Kenya, Nigeria, Tanzania, Cipro, Francia, Grecia, Regno Unito e Spagna.
C’è un ultimo aspetto che evidenzia forse più di petrolio, armi e war games certa ipocrisia delle classi dirigenti italiane in tema di difesa dei diritti umani e del diritto internazionale: il rimpatrio forzato e la loro consegna alle forze di polizia del Cairo di centinaia di cittadini egiziani, “immigrati illegali” in Italia dopo la fuga dalle repressioni e dallo stato di miseria prodotto dalle dissennate politiche economiche del regime Al-Sisi. Dalle delibere emesse dalla Direzione centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell’Interno, è possibile accertare che nel periodo compreso tra metà marzo e fine agosto 2021 sono stati effettuati nove voli di “riammissione” di egiziani destinatari di provvedimenti di espulsione, con un u evidente dispendio di risorse finanziarie e umane, 652.290 euro per le spese di noleggio degli aerei e un migliaio di agenti per le operazioni di vigilanza e accompagnamento. (8)
Le inaccettabili procedure del Viminale sono state stigmatizzate da Mauro Palma, Garante nazionale delle persone private di libertà, in una recente intervista. “Sono 252 i cittadini egiziani rimpatriati al 15 settembre del 2021 e l’Egitto figura come terza destinazione per ordine di grandezza dopo Tunisia e Albania”, ha dichiarato Palma. “I rimpatri in Egitto sono stati 748 dal 2018 al 2020, così stiamo parlando di mille persone, in meno di quattro anni”. (9) Nel 2018 il Garante aveva espresso in una relazione al Parlamento forti perplessità sull’opportunità di organizzare voli di rimpatrio forzato verso Paesi che come l’Egitto non hanno istituito un organismo nazionale di prevenzione della tortura o di altri trattamenti degradanti, e/o che non hanno firmato il Protocollo OPCAT alla Convenzione contro la tortura adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 2002. Sono trascorsi poco più di tre anni e siamo di fronte ad un’escalation di espulsioni e “riammissioni” di persone che rischiamo di finire nei giorni danteschi delle carceri egiziane. L’ultima deportazione risale allo scorso 9 ottobre: con un volo da Roma Fiumicino al Cairo, previo scalo a Bari Palese, sono stati deportati “circa 20/40” migranti egiziani “scortati da 80/110 operatori di polizia”. Costo del noleggio dell’aereo 90.400 euro. E pagano sempre e solo i contribuenti italiani.
Note
1) La Relazione della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla morte di Giulio Regeni può essere scaricata da https://www.questionegiustizia.it/data/doc/3079/commissione-parlamentare-giulio-regeni.pdf
2) https://www.ec-rf.net/3509/
4) https://www.agoravox.it/Eni-ed-Egitto-nuovo-accordo-da.html
7) http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2021/05/fregata-italiana-in-egitto-per-i-giochi.html.