di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 7 giugno 2023 –  Una conversazione “aperta e sincera”. Così un funzionario del Dipartimento di stato ha descritto il colloquio avuto questa mattina dal Segretario di stato Blinken con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (noto anche come Mbs). Eppure il clima cordiale non è servito a rivitalizzare i  legami logori tra i due paesi – stretti alleati per decenni –  a causa di disaccordi sempre più profondi un po’ su tutto, dalla politica verso l’Iran alle questioni di sicurezza regionale, dai rapporti dei sauditi con Russia e Cina al prezzo del petrolio. Senza dimenticare che Riyadh non intende normalizzazione le relazioni con Israele, come chiede l’Amministrazione Biden, senza soddisfare prima le sue condizioni, a partire dall’appoggio Usa al suo programma atomico ad uso civile che non piace allo Stato ebraico.

“Hanno discusso del potenziale per la normalizzazione delle relazioni con Israele e hanno concordato di proseguire il dialogo sulla questione”, ha detto il funzionario statunitense, senza fornire ulteriori dettagli.

L’Arabia Saudita,  ha dato la sua benedizione nel 2020 alla decisione degli Emirati e del Bahrain di stabilire le relazioni con Israele sotto l’Amministrazione Trump. Ma Riyadh poi non si è unita agli Accordi di Abramo affermando che deve essere realizzato prima l’obiettivo di uno Stato palestinese indipendente. E ad aprile si è riconciliata, almeno formalmente, con l’Iran, rivale regionale e arcinemico di Israele. Per questo prima di partire per il Medio oriente Blinken ha detto che gli Stati Uniti hanno “un vero interesse” per la normalizzazione dei legami tra sauditi e israeliani, ma ha messo in guardia sui tempi. “Non ci illudiamo che questo possa essere fatto rapidamente o facilmente”, ha avvertito.

In ogni caso la monarchia saudita, sotto la guida dell’erede al trono Mbs – spregiudicato in politica estera ma noto anche per la sua brutalità nei confronti di rivali, dissidenti e oppositori politici – non ha alcuna intenzione di invertire la rotta. Al contrario prosegue la politica “multilaterale” che l’ha portata a stringere i rapporti con Russia e Cina contro i desideri di Washington. L’altro giorno ha accolto con calore il presidente venezuelano Nicolas Maduro e il mese scorso aveva fatto altrettanto con il  siriano Bashar Assad, entrambi “nemici” degli Stati uniti. Senza dimenticare che l’Iran ieri ha riaperto la sua ambasciata nella capitale saudita.

Un segnale conciliante, ma solo a metà, la monarchia saudita l’ha indirizzato agli alleati Usa, spingendo l’Opec e una decina di Paesi produttori partner (l’Opec+), a prorogare al 2024 i tagli alla produzione di petrolio stabiliti nei mesi scorsi. Il ministro dell’energia saudita, Abdelaziz bin Salman, ha spiegato che la proroga dei tagli è stata decisa «con l’intento di aiutare a migliorare la stabilità dei mercati e di evitarne la volatilità». Allo stesso tempo, per sostenere il prezzo del greggio, Riyadh ha annunciato la riduzione unilaterale a partire da luglio di un milione di barili della quantità di petrolio che esporta.

La libertà di movimento dei Saud non è in linea con ciò che Washington sta cercando di realizzare in Medio oriente incoraggiando l’istituzione di un sistema di sicurezza regionale con un accordo di cooperazione per la difesa aerea. Questa è la logica alla base dell’iniziativa israeliana del marzo 2022 di istituire il Forum del Negev – che comprende Israele, Usa, Bahrain, Egitto, Marocco ed Emirati – che di fatto è un accordo politico-militare contro l’Iran. Il Forum ha tenuto diversi incontri ma non ci sono progressi. Il fatto che l’Arabia saudita non ne sia un membro rende impalpabile l’iniziativa e questa condizione non cambierà fino a quando Riyadh non accetterà di  normalizzazione i rapporti con Israele.

In questo contesto l’Arabia saudita – come riportato sia dal Wall Street Journal che dal New York Times – vuole dagli Stati uniti il sostegno ad un suo programma nucleare, garanzie di sicurezza e accesso senza restrizioni all’acquisto delle armi Usa più sofisticate. In poche parole, vuole godere presso gli Usa di uno status simile a quello di Israele. Perché, pensano a Riyadh, la normalizzazione con Tel Aviv nelle condizioni attuali perpetuerebbe solo il potere, di fatto assoluto, dello Stato ebraico nella regione. Pagine Esteri