di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 20 giugno 2023 – Otto villaggi e un centinaio di chilometri quadrati di territorio liberati in due settimane di controffensiva. Un bottino davvero magro quello che hanno potuto rivendicare il governo e i comandi militari ucraini, considerando soprattutto l’alto numero di vittime tra le proprie truppe (cifre esatte, ovviamente, non se ne diffondono) e l’utilizzo dei carri armati pesanti e di altre armi sofisticate – insieme a rottomani inutilizzabili – arrivate nelle scorse settimane dai paesi dell’Alleanza Atlantica.

Non è un caso che i toni di Volodymyr Zelenskyi nei confronti degli alleati si siano alzati negli ultimi giorni, fino ad assumere in certi casi una connotazione aggressiva e minacciosa. Il governo di Kiev aspetta ora il prossimo vertice della Nato in preparazione a Vilnius per l’11 e 12 luglio per capire se dal fronte antirusso potrà ottenere una ulteriore escalation negli aiuti militari. Durante il vertice potrebbe di nuovo essere fissato – per la terza volta, visto che alcuni paesi membri non hanno adempiuto alle indicazioni dei vertici degli anni scorsi – un tetto minimo del 2% del Prodotto Interno Lordo da destinare alla spesa bellica.
Ma le recenti dichiarazioni di Joe Biden – secondo il quale l’Ucraina non potrà contare su nessun iter agevolato per entrare a far parte del Patto Atlantico, e dovrà invece soddisfare tutti gli standard richiesti – hanno rappresentato l’ennesima doccia fredda per il paese invaso, oltre che una delusione per i paesi dell’Europa orientale e baltica che sollecitano da tempo il passo. Anche il Parlamento Europeo, giovedì scorso, ha esortato a maggioranza – 425 favorevoli, 38 contrari e 42 astenuti – a «mantenere il suo impegno nei confronti dell’Ucraina» accelerando l’integrazione di Kiev nel Trattato Nord-Atlantico che nel frattempo si allarga in Estremo Oriente e in Oceania.

Il carattere non risolutivo della controffensiva ucraina lascia intendere che il conflitto diretto con Mosca, che dura già da 16 mesi, è destinato a durare ancora a lungo.

Mezzi blindati ucraini distrutti e abbandonati

I capi di stato e di governo di decine di paesi stanno facendo la spola con Kiev per tentare di esercitare un ruolo di mediazione per giungere quantomeno ad un cessate il fuoco. Ma, nonostante dalle capitali dei due paesi protagonisti del conflitto siano giunte per la prima volta aperture al dialogo e dichiarazioni concilianti, le possibilità concrete che nelle prossime settimane le armi possano tacere sono quasi del tutto inesistenti.
Secondo “Institute for the Study of War” (ISW), in realtà la vera controffensiva ucraina – pure annunciata da mesi – potrebbe non essere ancora partita. L’esercito ucraino, suggerisce il think tank statunitense, starebbe per ora sondando la capacità di reazione della truppe russe per avviare in seguito un’offensiva su vasta scala potendo contare su informazioni e analisi più dettagliate.
È però anche possibile che i comandi militari di Kiev – e i loro consiglieri della Nato – abbiano invece sottovalutato la resistenza sul campo delle truppe di Mosca, rimpolpate dai mercenari della Wagner, dai volontari ceceni e da un numero imprecisato di nuovi combattenti russi convinti dalla martellante campagna di reclutamento lanciata dall’esecutivo dopo i magri risultati ottenuti tramite la coscrizione obbligatoria.
Negli ultimi mesi l’esercito di Mosca ha di fatto cessato di avanzare e si è attestato su una linea di difesa, negli oblast del sud est e dell’est ucraino, che sono state opportunamente rinforzate in vista proprio della prevista controffensiva di primavera. I comandanti militari di Kiev mantengono uno stretto riserbo e i toni trionfalistici dei primi giorni sono stati progressivamente abbandonati, smentiti dalle immagini dei primi carri Bradley e Leopard abbandonati dalle proprie truppe o distrutti dal nemico. Intanti i russi continuano a martellare le infrastrutture militari e civili ucraine con i bombardamenti dei missili e dei droni, fiaccando la retroguardia di Kiev che tenta di rispondere – a volte con successo – utilizzando le batterie antiaeree fornite dagli alleati della Nato.
La sensazione è che il conflitto si sia impantanato e che il fronte (lungo circa 900 km), per quante armi l’Alleanza Atlantica possa inviare a Zelenskyi, potrebbe spostarsi nei prossimi mesi di pochi chilometri. Le truppe ucraine sono numericamente insufficienti per coprire tutto il fronte, e non a caso stanno concentrando i propri sforzi su tre direttrici – Lugansk, Donetsk e Zaporizhzhia – nel tentativo di spezzare in due il dispositivo militare russo.
Ma assai difficilmente Kiev riuscirà a replicare lo scenario dello scorso autunno, quando in poche settimane riuscì a riprendersi vasti territori negli oblast di Kherson e Kharkiv. Secondo vari osservatori militari le truppe russe avrebbero negli ultimi mesi sensibilmente migliorato le proprie strategie e la propria capacità di combattimento, facendo ad esempio un maggiore ricorso ai droni kamikaze.

L’imponente infrastruttura di difesa creata da Mosca sulle proprie linee è riuscita finora a rallentare le azioni offensive delle truppe ucraine, creando in alcuni casi dei colli di bottiglia che possono rivelarsi un grosso pericolo per le avanguardie di Kiev. Per non parlare dell’enorme quantità di mine e di trappole esplosive piazzate dai militari russi a protezione delle proprie postazioni.
Alla Russia, in fondo, mantenere un certo numero di territori occupati in Ucraina può far gioco, un risultato da poter vantare davanti all’opinione pubblica come una vittoria. L’Ucraina invece rischia di uscire fortemente logorata da un prolungamento indefinito dello scontro bellico.

I territori interessati dalle manovre Air Defender 2023 della Nato

«Resteremo in Ucraina a lungo termine», ha affermato nei giorni scorsi il segretario della difesa di Washington Lloyd Austin, spiegando che la battaglia che si svolge nel paese «è una maratona, non uno sprint».
Ma alla lunga l’industria militare occidentale – che pure sta facendo affari d’oro grazie al sostegno della Nato a Kiev – potrebbe non essere in grado di assicurare al paese invaso rifornimenti sufficienti e tempestivi, in particolare di proiettili. Un problema che sembra attanagliare anche il dispositivo offensivo russo. Nei giorni scorsi si è appreso che, in un anno, la Bielorussia ha consegnato a Mosca 130 mila tonnellate di munizioni. Inoltre Minsk ospita circa 10 mila militari russi. La scorsa settimana, poi, Vladimir Putin ha ribadito che a luglio un certo numero di testate nucleari tattiche russe verranno trasferite nel territorio dello stato confinante.

Resta da capire se i 31 paesi della Nato invieranno alla fine i caccia F16 a Kiev. Nel frattempo sia la Danimarca sia i Paesi Bassi stanno addestrando un certo numero di piloti ucraini all’uso di questo modello, ma finora nessuna decisione definitiva è stata adottata sull’eventuale invio degli aerei da combattimento che Mosca ha già chiarito di considerare un nuovo passo verso lo scontro diretto con l’Alleanza Atlantica. E comunque, così come è avvenuto per i carri armati, i primi caccia arriverebbero a Kiev solo tra qualche mese, e nel frattempo la guerra di trincea continuerebbe a macinare vittime e distruzioni.

Intanto dal 12 giugno il Patto Atlantico sta tenendo, nei cieli europei e in particolare tedeschi, le più imponenti esercitazioni militari di sempre con la partecipazione di diecimila soldati e 250 aerei appartenenti a 25 dei 31 paesi aderenti all’alleanza. Per esplicita ammissione di Jens Stoltenberg, le manovre “Air Defender”, durate in tutto dieci giorni, hanno voluto rappresentare un monito per Mosca. Ma in un clima avvelenato dalla corsa agli armamenti e dall’escalation bellica simili moniti rischiano di sortire esattamente l’effetto contrario a quello dichiarato, spostando in avanti la lancetta del conto alla rovescia verso lo scontro diretto e globale. – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.