AGGIORNAMENTI MARTEDì 14 NOVEMBRE
Ore 17
Due persone sono rimaste ferite a Tel Aviv dopo a causa di razzi sparati da Gaza e caduti sulla città israeliana. Uno dei feriti sarebbe in condizioni critiche.
Durante il raid israeliano nella città di Tulkarem, nella Cisgiordania occupata, i bulldozer hanno distrutto strade, tubature dell’acqua e, secondo gli abitanti, abbattuto circa 70 case palestinesi. Molti negozi sarebbero stati gravemente danneggiati, così come alcune strutture ONU.
Ore 13.30
Israele attacca il sud di Gaza, colpendo con una serie di bombardamenti Khan Younis, che si trova nella zona indicata come “sicura” dalle stesse autorità israeliane. Decine di migliaia di palestinesi del nord di Gaza si sino diretti, in questi giorni, verso il sud della Striscia per cercare riparo dalla guerra. Molti sono arrivati proprio a Khan Younis, dove la situazione umanitaria sta divenendo insostenibile: non ci sono abbastanza generi alimentari, medicine, strutture per accogliere l’enorme numero di profughi. C’è sempre una grave carenza di carburante e l’energia elettrica funziona solo a tratti. L’ONU ha fatto sapere che le infrastrutture che garantiscono acqua corrente e la gestione dei rifiuti nel sud di Gaza hanno cessato di funzionare a causa della mancanza di combustibile.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità fa sapere che più della metà degli ospedali di Gaza è fuori servizio e ha chiesto di cessare le ostilità per soccorrere i pazienti e le persone rifugiate nell’ospedale al-Shifa. Nel nord tutte le strutture ospedaliere sono rimaste senza carburante e le Nazioni Unite hanno comunicato che, se non entrerà combustibile, entro 48 l’ONU sarà costretta a cessare ogni attività.
Nella Cisgiordania occupata è ancora in corso il raid israeliano a Tulkarem. Il bilancio dei morti palestinesi nell’attacco è salito a 7, ma il Ministero della Salute palestinese fa sapere che tra i 12 feriti 5 sarebbero in gravi condizioni. Al momento sono 196 i palestinesi uccisi da Israele in Cisgiordania dal 7 ottobre. 31 palestinesi sono stati arrestati dalle forze israeliane durante la notte, portando il numero degli arresti in Cisgiordania nell’ultimo mese a 2.570.
Un razzo ha colpito questa mattina la città di Eilat, in Israele. Non si hanno al momento notizie di vittime o feriti.
di Michele Giorgio –
(Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Manifesto)
Pagine Esteri, 14 novembre 2023. Scrivendo qualche giorno fa degli scenari per la Striscia di Gaza dopo l’offensiva israeliana, il professor Nathan Brown, analista del centro studi internazionale Carnegie, ha previsto che «Probabilmente Israele non reintrodurrà i coloni a Gaza, ma le sue mosse future potrebbero includere la creazione di installazioni militari all’interno della Striscia». Ed è questa l’opinione di altri esperti data anche la contrarietà degli Stati uniti alla possibilità che Israele colga l’occasione per ricostruire i 21 insediamenti ebraici demoliti nel 2005 per ordine del premier scomparso Ariel Sharon nel quadro del «Piano di disimpegno» unilaterale da Gaza. In quei giorni furono evacuate e distrutte anche quattro piccole colonie in Cisgiordania. Tuttavia, il silenzio del gabinetto di guerra israeliano sugli assetti politici a Gaza nel cosiddetto «dopo Hamas» e l’annuncio, ribadito più volte, dal primo ministro Netanyahu secondo cui «Israele avrà il controllo della sicurezza a Gaza per un periodo indefinito», autorizzano ad ipotizzare che la ricostruzione di alcune colonie sia sul tavolo.
Sebbene non si tratti di un insediamento coloniale, la nuova comunità di Hanon, attaccata a Gaza, appena approvata dal Consiglio nazionale di pianificazione e costruzione, conferma che l’edilizia sarà un pilastro della politica israeliana nei prossimi mesi ed anni nell’area di Gaza. E non solo per riabilitare kibbutz e piccoli centri abitati colpiti dall’attacco di Hamas. Si svilupperà anche all’interno della Striscia? Non pochi israeliani lo desiderano, dal semplice cittadino agli esponenti politici. La distruzione di Gush Qatif, il principale blocco delle colonie israeliane a Gaza nell’estate del 2005, resta una ferita aperta per porzioni significative di popolazione israeliana religiose e di destra convinte che anche Gaza faccia parte della biblica Erez Israel, la Terra di Israele. I circa 8mila coloni portati via con la forza dai soldati, è una immagine che in tutti questi anni ha continuato a girare negli ambienti di destra. «Ariel Sharon che per decenni era stato il punto di riferimento della destra radicale, dopo aver ordinato l’evacuazione di soldati e coloni da Gaza venne definito come un traditore e addirittura un esponente della sinistra», spiega al manifesto Meir Margalit, un docente esperto delle colonie di Gaza. Margalit non pensa che ci siano i margini politici per ricostruire le colonie. Però, aggiunge, «La società israeliana oggi è più di destra e religiosa rispetto a 18 anni fa e l’appello al ritorno a Gaza coinvolge tante persone».
Sui social i sostenitori della ricostruzione delle colonie a Gaza si sono sbizzarriti in queste ultime settimane. Ha fatto scalpore il video in cui un ufficiale dell’esercito afferma in pubblico che, se non ci fossero stati i tanti morti israeliani e i sequestri di ostaggi, ottobre sarebbe stato «un mese felice». Perché, aggiunge, grazie alla guerra Israele può riprendersi Gaza e se vuole anche il Libano del sud (da cui si è ritirato nel 2000). «Un’altra cosa che stiamo chiarendo è: la terra è nostra. Tutta la terra! Tutto! Inclusa Gaza! Incluso il Libano! Tutta la terra promessa! Gush Katif è così piccolo rispetto a cosa raggiungeremo!», aggiunge il militare ricevendo gli applausi di tanti. Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro dell’Istruzione, Yoav Kisch, del partito Likud di Netanyahu. Ha detto di non escludere uno scenario in cui Israele costruisca insediamenti nella Striscia di Gaza. Dichiarazioni persino più esplicite sono giunte dal ministro dell’economia Bezalel Smotrich e da quello del Patrimonio nazionale Amichai Eliyahu (che qualche giorno fa ha suggerito un possibile impiego della bomba atomica a Gaza) e dalla parlamentare Orit Strock, paladina dell’estrema destra. Tra i coloni l’entusiasmo cresce di pari passo con l’avanzata delle truppe israeliane e lo sfollamento dei palestinesi. «Il popolo di Israele vuole tornare nella Striscia di Gaza». Questa è la parola d’ordine del movimento «Nachla» che si propone di fare lobby per insediare coloni a Gaza quando sarà terminata la guerra. «Vuoi essere nostro vicino? Vuoi prendere parte all’azione? Puoi presentare domanda», scrivono gli attivisti in un appello ad unire le forze.
Netanyahu e altri esponenti dell’establishment politico non si sbilanciano. La posizione prevalente è che il fermento per il «ritorno a Gaza» va contenuto perché può danneggiare l’appoggio diplomatico di cui gode Israele. Ma Netanyahu, sempre più spostato a destra, tra qualche mese avrà bisogno, ancora più di oggi, dell’appoggio dei coloni, dell’ultradestra e anche dei sostenitori della ricostruzione delle colonie a Gaza se vuole provare a ribaltare i sondaggi che oggi lo danno al punto più basso da anni a questa parte.