di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 23 novembre 2023 – Lo spoglio per le presidenziali argentine non si era ancora concluso che il leader dell’estrema destra spagnola Santiago Abascal è corso a complimentarsi con il leader de “La Libertad Avanza”, il turbocapitalista argentino Javier Milei. «Oggi si apre un cammino di futuro e speranza per gli argentini e per tutta l’Iberoamerica e noi in Spagna esultiamo con particolare allegria» ha scritto su X il presidente di Vox, aggiungendo «Viva la Spagna e viva l’Argentina libere dal socialismo e sovrane!».

Da tempo Vox ha intessuto relazioni privilegiate con l’estrema destra latinoamericana, in nome dell’anticomunismo e del contrasto alle forze popolari che negli ultimi anni hanno riconquistato il potere in alcuni paesi del Cono Sur.
Ora Abascal spera che il trionfo del “loco” a Buenos Aires si trasformi in un’onda in grado di attraversare presto l’Atlantico per spazzare via il governo di Pedro
Sánchez, appena confermato primo ministro dopo trattative durate 171 giorni.

«Sánchez dittatore»
Giunto secondo alle elezioni del 23 luglio, il leader socialista è riuscito a comporre una maggioranza in parlamento – 179 voti contro i 171 raggranellati dalle destre – ottenendo il sostegno dei nazionalisti baschi, catalani e galiziani. Per conquistare gli indispensabili voti degli indipendentisti di Esquerra Republicana e di Junts, il leader socialista ha dovuto promettere una legge per amnistiare circa 400 tra dirigenti politici e attivisti processati per il loro ruolo nella celebrazione del referendum per l’autodeterminazione della Catalogna del 2017. Poco importa che grazie al provvedimento cadranno le accuse anche nei confronti di decine di poliziotti sotto inchiesta per le violenze nei confronti degli elettori e dei manifestanti catalani. Per le destre spagnole quella di Sánchez è una duplice colpa intollerabile: governare nonostante la sconfitta alle elezioni nelle quali il PP è arrivato in testa, e grazie all’amnistia concessa ai “separatisti” che attenterebbe all’unità della patria e legittimerebbe nuove spinte indipendentiste.

E così contro Sánchez – che slogan, striscioni e cartelli definiscono “usurpatore”, “dittatore” e “vendipatria” – le piazze hanno cominciato a ribollire mesi fa, quando le trattative per la formazione del nuovo esecutivo erano ancora agli inizi e la legge per l’amnistia solo una bozza.

Quando il Partito Popolare e Vox hanno capito che in Parlamento non avrebbero trovato appoggi sufficienti a governare – dopo i no dei nazionalisti di centro-destra baschi e delle Canarie – hanno fatto appello alla spallata dalla piazza e hanno mobilitato i governi locali e i loro addentellati nello “stato profondo”.

Le piazze e le strade hanno cominciato a riempirsi molto gradualmente – con numeri a lungo non proprio esaltanti per due formazioni che insieme sommano il 45% dei voti – e man mano che si avvicinava il 16 novembre, quando Sánchez ha incassato la fiducia, la tensione è salita a livelli parossistici.

L’assedio alla sede del Psoe di Madrid

L’assedio ai socialisti
A farne le spese è stato anche il sovrano, Filippo VI, accusato di passività se non di complicità con i misfatti in corso alla Moncloa; per questo molti manifestanti hanno sventolato bandiere spagnole dalle quali era stato asportato, lasciando un consistente buco, lo stemma che raffigura i regni di Castiglia, Aragona, León, Navarra e Granada riuniti sotto il dominio spagnolo a partire dal XV secolo. I più fiduciosi, invece, si aspettano che il re non firmi la legge di amnistia nel caso dovesse passare l’esame delle camere.

Da quasi tre settimane migliaia di militanti delle formazioni di destra ed estrema destra, circondati da “elettori indignati” e da un’umanità quanto mai varia, assediano la sede statale del Partito Socialista a Madrid. In Calle Ferraz ogni sera va in scena un folkloristico ma non meno inquietante mix di complottismo, neofascismo, nostalgie franchiste, fondamentalismo cattolico e suggestioni trumpiane.

Nell’assedio convivono spezzoni diversi non sempre tra loro amichevoli. Si sono visti capannelli recitare “rosari per la salvezza della Spagna”; giovani palestrati scagliarsi contro i cordoni di polizia colpevoli di non unirsi alla sacra lotta contro i “nemici della Spagna”; pensionate in ghingheri inveire al grido di «Puigdemont (l’ex leader catalano attualmente in esilio) in prigione»; cinquantenni illustrare strampalate teorie negazioniste sul Covid e sul cambiamento climatico o denunciare i piani del governo per la sostituzione etnica.

Il fronte reazionario ha convocato molte altre manifestazioni, sia locali che nazionali. L’ultima e più numerosa ha riunito a Madrid, sabato scorso, più di 200 mila persone. Ma sono soprattutto gli assedi alle sedi socialiste, soprattutto a quella madrilena, a rappresentare il palcoscenico e la palestra dove le varie anime organizzate della protesta mostrano i muscoli e tentano di accrescere credibilità e consensi.

Santiago Abascal e Tucker Carlson a calle Ferraz

La regia di Vox
A mettersi abilmente in mostra è stato soprattutto Vox, presente in forze sia con i propri dirigenti nazionali e locali, sia con decine di sigle – a volte reali, spesso fantasma – utili a pescare in ambiti diversi e a dare la sensazione dell’espansione del partito in tutti i settori indignati dal ritorno dei “rossi” a braccetto con i “separatisti”. Seppure a malincuore e in netto ritardo, il leader dei Popolari Núñez Feijóo ha dovuto ad un certo punto prendere le distanze dalle intemperanze violente di parte della piazza, perdendo appeal e lasciando campo libero alla sua destra. E così Vox – pure indebolito dalle lotte intestine tra le diverse correnti – ha conquistato il proscenio, utilizzando abilmente alcune sue emanazioni per dare la sensazione di un partito che si mette a disposizione, al servizio di una protesta corale e spontanea della società civile e delle associazioni degli “spagnoli per bene” contro il «colpo di stato ordito da Sánchez».

Questa strategia ha quindi proiettato in primo piano “Revuelta”, che si definisce “movimento giovanile contro il separatismo, la corruzione, le politiche contro la famiglia”. Si tratta di una sigla finora sconosciuta e fantasma, che non è però difficile ricondurre proprio a Vox e ad altri soggetti dell’arcipelago reazionario interni o orbitanti attorno al partito di Abascal. Tra questi c’è “Plataforma 711” (dall’anno della conquista araba e islamica della penisola iberica), dedita prima alla vendita di merchandising identitario e poi ad animare un’associazione universitaria di ultradestra “vicina” a Vox. Altre sigle utilizzate, come la Fundación Disenso e la Fundación Danaes, invece, sono riconducibili direttamente ad Abascal, come d’altronde il sindacato “Solidaridad” che per il 24 novembre ha indetto nientemeno che uno “sciopero generale”, forte del suo 0,1% di rappresentatività tra i delegati dei lavoratori.

Neonazisti, franchisti, integralisti cattolici e complottisti
Attorno e dentro la rete intessuta da Vox si muovono, come detto, i membri dei circoli fondamentalisti cattolici ed evangelici e soprattutto i militanti dei gruppi e dei partiti esplicitamente neofascisti e neonazisti, a capo spesso delle curve calcistiche più violente e addestrati a menare le mani. Sono loro – insieme ai militanti più scalmanati di Vox – ad animare le serate in calle Ferraz innalzando bambole gonfiabili, cantando inni franchisti – il “Cara al sol” è il più gettonato – e inveendo contro “i froci” e i “traditori” al governo.

L’elenco di sigle, alcune delle possono contare su migliaia di militanti e su finanziatori generosi, è lunga. La più consistente è forse “Democracia Nacional”, che si ispira a Roberto Fiore e alla sua Forza Nuova ed ha velleità elettorali. Poi ci sono Hogar Social, che invece scimmiotta Casapound; i tradizionalisti cattolici omofobi e transfobici di Hazte Oír; i nostalgici delle varie Falangi; gli xenofobi di “España 2000″, esperti nel conquistare i finanziamenti pubblici; gli escursionisti di “FACTA”, ammiratori del Terzo Reich e di Alba Dorata; i suprematisti islamofobi di “Hacer Nación”. Tutti giocano le loro carte per emergere come forza egemone della “riscossa nazionale”, e alcuni di strappare a Vox consensi elettorali tali da permettergli di accedere alle istituzioni.

Non mancano, in piazza, militari e agenti di polizia. D’altronde subito dopo la fiducia accordata dalle Cortes a Sánchez, 51 ufficiali in congedo delle forze armate hanno esplicitamente invitato l’esercito spagnolo a destituire l’esecutivo per ristabilire la legalità; giorni prima non erano mancati i pronunciamenti contro il nuovo governo da parte di associazioni di magistrati e di agenti della Guardia Civil (la polizia militarizzata).

Santiago Abascal insieme a Javier Milei

La strategia trumpiana
A unificare e ad amplificare il caotico magma all’interno del quale si muovono le varie sigle e le varie correnti ideologiche, una strategia politica e comunicativa apertamente “trumpiana” (o “bolsonariana”) che descrive gli avversari di centro-sinistra e sinistra come nemici interni che si sarebbero impossessati illegittimamente del potere. Di qui i continui appelli a trasformare l’indignazione in mobilitazione, a cacciare gli usurpatori e ad occupare le sedi istituzionali.
Non a caso ai movimentati happening di calle Ferraz è stato invitato a partecipare anche l’ex anchorman di Fox News Tucker Carlson, grande amico di Abascal e tra i principali diffusori di fake news sui presunti brogli dei Democratici alle elezioni statunitensi del 2020.

Finora in Spagna non si è concretizzata la replica dell’occupazione del Campidoglio di Washington del 6 gennaio 2021 da parte della alt-right americana o del più recente assalto al Congresso nazionale di Brasilia. Eppure, per quanto la situazione politica e sociale spagnola differisca da quella di oltreoceano, il rischio di un’esplosione di violenza anche a Madrid non è trascurabile, al di là delle intenzioni dei principali organizzatori del “Noviembre Nacional”, come alcuni tra i promotori hanno definito il lungo assedio alla sede statale del PSOE. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.