di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 15 febbraio 2024 – Nei mesi scorsi l’amministrazione Biden ha lanciato un’offensiva diplomatica ed economica nel continente africano allo scopo di controbilanciare la penetrazione cinese e russa e di approfittare della ritirata francese per consolidare o guadagnare qualche posizione. Alla fine di gennaio il segretario di stato americano Antony Blinken ha compiuto il suo quarto tour africano visitando Capo Verde, l’Angola, la Costa d’Avorio e la Nigeria.
Pechino vuole estendere la presenza militare in Africa
I principali competitori geopolitici di Washington, però, non sono rimasti a guardare. Se la Russia ha scelto da tempo la carta militare per accreditarsi come potenza in Africa, sembra che ora anche la Cina voglia capitalizzare la sua enorme influenza economica per conquistare punti anche sul piano militare e dotarsi di infrastrutture stabili. Pechino è alla ricerca, in particolare, di approdi permanenti per la sua flotta da guerra nell’Africa Occidentale dopo averne ottenuto anni fa uno a Gibuti, sul Mar Rosso, cioè dall’altra parte del continente. Una strategia che, neanche a dirlo, impensierisce non poco gli Stati Uniti.
Nei giorni scorsi è stato il Wall Street Journal a suonare l’allarme generando una vasta eco sui media d’oltreoceano. Un articolo del quotidiano ha riferito che nell’agosto del 2023 l’allora presidente del Gabon, Ali Bongo Ondimba (al potere dal 2009, succeduto al padre Omar Bongo) aveva confessato al vice consigliere alla Sicurezza Nazionale statunitense Jonathan Finer di aver promesso al leader cinese Xi Jinping la concessione di una postazione militare sulle coste del paese. Finer aveva ovviamente manifestato la contrarietà del proprio governo al leader del Gabon che, poche settimane dopo, era stato deposto da un colpo di stato militare.
La Cina punta su Gabon e Guinea Equatoriale. Le contromisure USA
Nei confronti della giunta golpista, nelle prime settimane, Washington aveva tenuto un atteggiamento prudente e conciliante per poi prendere le distanze dal nuovo regime, con cui le relazioni dei cinesi sono invece rimaste cordiali.
Ora, visto l’attivismo diplomatico, economico e politico della Repubblica Popolare nell’area, Washington teme che anche il regime militare sia possibilista rispetto alla concessione di una base militare sull’Atlantico alla marina militare cinese. Una circostanza che gli Stati Uniti considerano una minaccia diretta alla propria sicurezza nazionale e ai propri interessi strategici.
La Cina è già il principale partner commerciale del Gabon, paese che può contare sul terzo Pil per importanza dell’Africa grazie alle ingenti riserve petrolifere e ai giacimenti di manganese, minerale esportato soprattutto a Pechino dopo il coinvolgimento di Libreville nella “Belt and Road Initiative” o Nuova Via della Seta.
Gli emissari dell’amministrazione Biden hanno quindi aumentato le pressioni sui governi africani affinché oppongano un diniego alle richieste della Repubblica Popolare che intanto concentra i suoi sforzi sul Gabon e su un paese limitrofo che pure si affaccia sull’Oceano Atlantico. Le autorità della Guinea Equatoriale, paese in cui Pechino gestisce già un porto commerciale, hanno per ora affermato di non aver intenzione di concedere alla Marina da guerra cinese “l’utilizzo stabile” di una propria base ma le trattative proseguono.
Gli USA possono contare all’estero su 750 basi militari
Attualmente, la Cina possiede o gestisce porti e terminali commerciali in un centinaio di località in oltre 50 paesi distribuiti in tutti i continenti, ma a Xi Jinping non basta.
La Cina vuole aumentare le basi militari per difendere i suoi interessi economici e commerciali, per consolidare la sua influenza politica e per avere qualche chance di tener testa agli Stati Uniti in caso di conflitto. Nonostante la crescita del suo ruolo militare, la proiezione militare internazionale della Repubblica Popolare Cinese è ancora insignificante se si considera che Washington può contare su circa 750 infrastrutture militari all’estero tra permanenti e temporanee.
Comunque, secondo un rapporto del Pentagono del 2021, oltre che nel continente africano Pechino starebbe cercando di ottenere infrastrutture militari in Cambogia, Tailandia, Sri Lanka, Pakistan e Indonesia. Inoltre la Repubblica Popolare, negli ultimi anni, ha notevolmente potenziato la propria capacità di realizzare navi da guerra, tanto che ha già superato Washington in quanto a capacità di sfornare nuovi vascelli.
Nel gennaio dell’anno da poco iniziato il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, ha visitato la Costa d’Avorio, l’Egitto, il Togo e la Tunisia, firmando nuovi accordi con i rispettivi governi. Il Pentagono invece sta premendo sui governi del Ghana, della Costa d’Avorio e del Benin per la realizzazione di tre nuove basi militari che dovrebbero ospitare altrettante squadriglie di droni ufficialmente destinati al contrasto dell’insorgenza islamista.
Mosca aumenta la cooperazione con i paesi del Sahel
Da parte sua la Russia ha aumentato la cooperazione con alcuni dei paesi del Sahel usciti dall’orbita francese dopo i colpi di stato militari degli anni scorsi che hanno destituito i leader vicini a Parigi. In particolare Mosca ha siglato una serie di accordi economici e militari con il Mali e poi con il Burkina Faso. In quest’ultimo paese Mosca si è impegnata a realizzare nei prossimi anni anche una centrale nucleare.
Mentre rafforzano i legami con la Federazione Russa, i regimi militari di Mali, Burkina Faso e Niger intendono creare una moneta unica regionale. Lo ha annunciato nei giorni scorsi il leader della giunta “di transizione” del Niger, Abdourahamane Tchiani, in una dichiarazione televisiva. «La moneta è un passo fuori da questa colonizzazione» ed «un segnale di sovranità» ha detto il generale. I tre Paesi, che di recente hanno formato l’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes), «sono impegnati in un processo di recupero della loro sovranità totale» ha aggiunto, senza però fornire dettagli sulla possibile messa in circolazione di una futura moneta che dovrebbe sostituire il franco Cfa, tradizionale strumento dell’egemonia francese che attualmente costituisce la valuta comune degli otto Paesi membri dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa). Inizialmente l’Aes è nata come un patto di difesa tra i tre paesi che hanno deciso di unire le loro risorse militari per combattere i gruppi ribelli o jihadisti e bilanciare la presenza militare francese e statunitense nell’area.
Mali, Burkina Faso e Niger fuori dal franco CFA e dalla CEDEAO
Poi, a novembre, i ministri dell’Economia e delle Finanze dei tre stati hanno raccomandato la creazione di un fondo di stabilizzazione e di una banca di investimento comuni. A fine gennaio, infine, Mali, Burkina Faso e Niger si sono ritirati dalla “Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale” (Cedeao o Ecowas), un’organizzazione regionale accusata di essere al servizio degli interessi di Parigi.
Dopo i colpi di stato la Cedeao, in evidente “coordinamento” con la Francia, ha imposto pesanti sanzioni economiche prima al Mali e poi al Niger, e nell’agosto del 2023 è giunta a minacciare un intervento militare contro Niamey per reinsediare il presidente Mohamed Bazoum, deposto e arrestato dai militari. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria