di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 16 luglio 2024 – Si consolida l’alleanza tra le giunte militari al potere in Mali, Niger e Burkina Faso, intenzionate a “federarsi” creando un blocco alternativo alla Comunità economica dei Paesi dell’Africa sub-sahariana (Cedeao o Ecowas), organismo regionale accusato di essere uno strumento delle ex potenze coloniali occidentali, in particolare della Francia.
L’Alleanza del Sahel diventa Confederazione
Dopo l’avvio di una stretta collaborazione militare che ha portato all’espulsione della maggior parte delle truppe occidentali presenti nel Sahel e all’avvio di una strategia comune contro l’insorgenza jihadista, i tre paesi ora accelerano anche sulla cooperazione sul fronte economico, sanitario, dell’istruzione e delle infrastrutture. Nei giorni scorsi, infatti, il 6 luglio i tre paesi hanno annunciato la creazione della “Confederazione degli Stati del Sahel”, evoluzione della precedente “Alleanza del Sahel” formalizzata a settembre.
A guidare la neonata Confederazione sarà il presidente “di transizione” del Mali, colonnello Assimi Goita, nominato presidente di turno dell’organizzazione con un mandato di un anno.
Riuniti a Niamey, capitale del Niger, i capi dei tre governi golpisti hanno formalizzato la creazione di una banca di investimento comune e di un fondo di stabilizzazione, già annunciati a novembre. Assimi Goita, Ibrahim Traoré (Burkina Faso) e Abdourahamane Tiani (Niger) hanno poi deciso di creare una “Forza Unificata del Sahel” per rafforzare la lotta contro i ribelli islamisti.
I tre paesi continuano ad approfondire la possibilità di abbandonare il Franco Cfa – legato alla valuta di Parigi – con l’intenzione di adottare una moneta comune ai tre paesi. Infine, i capi delle tre giunte militari hanno incaricato i ministri competenti di elaborare urgentemente i protocolli per affrontare le implicazioni legate al ritiro dalla Cedeao, deciso a partire dal 2025.
La Cedeao in allarme
La creazione della “Confederazione del Sahel” ha ovviamente allarmato l’organismo regionale, che ha tenuto un vertice straordinario ad Abuja (Nigeria) il 7 luglio. Con la fuoriuscita di Mali, Niger e Burkina Faso, infatti, la Cedeao perderebbe più del 12% del Pil e il 16% della popolazione, oltre che tre paesi ricchi di risorse minerarie e strategici sul piano geopolitico.
In caso di ritiro, ha detto il presidente della commissione di coordinamento dell’organismo regionale in vita ormai da mezzo secolo, Omar Touray, i tre paesi del Sahel potrebbero perdere finanziamenti per più di 500 milioni di dollari. Per Touray la regione si trova di fronte al rischio di una disintegrazione della Cedeao che interromperebbe la libertà di movimento per i suoi 400 milioni di abitanti e peggiorerebbe la sicurezza.
Il rischio di una disintegrazione della Cedeao è stato paventato anche dal presidente del Senegal Bassirou Diomaye Faye, il quale ha però citato la necessità di liberare l’organismo «dagli stereotipi che la dipingono come un’organizzazione soggetta alle influenze di poteri esterni e distante dalle popolazioni». Faye ha anche criticato le sanzioni imposte dalla Cedeao ai tre paesi “ribelli” dopo i rispettivi colpi di stato – già alleggerite a febbraio – denunciando le conseguenze sulle rispettive popolazioni.
Il Burkina Faso accusa Costa d’Avorio e Benin di ospitare basi francesi segrete
Intanto nel suo ultimo discorso il capitano Ibraihim Traoré, al potere in Burkina Faso dal golpe del 30 settembre 2022 e che nel giugno scorso ha sventato un tentativo di ribellione da parte di alcuni reparti dell’esercito, ha alzato i toni nei confronti di Costa d’Avorio e Benin, accusati di essere strumenti dell’ingerenza di Parigi nella regione.
«Non abbiamo nulla contro il popolo ivoriano. Ma abbiamo qualcosa contro chi governa la Costa d’Avorio. Esiste infatti un centro operativo ad Abidjan per destabilizzare il nostro Paese» ha dichiarato il leader della giunta, che poi ha accusato il Benin di ospitare due installazioni militari francesi segrete, a suo dire utilizzate per addestrare terroristi da utilizzare con il Burkina Faso.
È la prima volta che Traoré accusa esplicitamente la Costa d’Avorio, paese ancora saldamente nell’orbita politica, economica e militare di Parigi.
Alle esternazioni di Traoré ha risposto il portavoce del governo del Benin che le ha definite «nauseante disinformazione che alimenta il risentimento delle popolazioni e minaccia la coesistenza pacifica». Il Benin ha un conflitto aperto anche con il Niger dopo che questo ha bloccato il trasporto di petrolio da un oleodotto cinese verso il porto di Cotonou, dove viene imbarcato sulle petroliere.
Traoré annuncia la nazionalizzazione delle risorse minerarie
Nel suo discorso, il capo della giunta del Burkina ha annunciato la volontà di rimanere al potere nei prossimi cinque anni, informando sull’approvazione di un disegno di legge a tutela delle risorse minerarie del paese attraverso un processo di nazionalizzazione dei giacimenti – soprattutto di oro – e il ritiro di numerosi permessi di estrazione finora concessi ad alcune multinazionali straniere.
A novembre la giunta militare burkinabé ha avviato la costruzione di una raffineria d’oro, mentre a gennaio ha inaugurato il primo impianto per la lavorazione dei residui minerari (principalmente carbone fino, scorie, concentrati acidi e ceneri), sottolineando la volontà di avere maggior controllo sul loro trattamento e di smettere di esportarli. La fabbrica, costruita nella zona industriale di Kossodo alla periferia di Ouagadougou, è di proprietà di una società privata locale, la Golden Hand, di cui lo stato controlla il 40%.
D’ora in poi gli unici attori stranieri che saranno autorizzati a sfruttare il settore minerario del paese, ha detto Traoré, saranno «i sinceri partner che accettano di sostenerci» nella lotta contro l’insorgenza jihadista, spesso legata ad Al Qaeda o a Daesh. Un implicito richiamo alle relazioni commerciali avviate con Mosca in cambio di un sostegno militare che però finora non ha sortito gli effetti sperati.
Lo scorso 11 giugno, ad esempio, un gruppo di combattenti islamisti ha attaccato la cittadina settentrionale di Mansila, uccidendo 107 soldati e prendendone in ostaggio altri 7.
Tasse per finanziare l’esercito
Per finanziare l’espansione delle forze armate e le operazioni dei cosiddetti “Volontari della Patria” (ausiliari civili dell’esercito) contro le milizie jihadiste e l’acquisto di attrezzature militari moderne, la giunta ha avviato un sistema specifico di misure fiscali.
Dal luglio del 2023 si applica una tassa del 5% sull’acquisto di servizi di telefonia che diventa del 10% per gli abbonamenti alle catene televisive private, mentre un’imposta dell’1% grava sulla cessione di terreni. Altre tasse sono state imposte su bevande alcoliche e tabacchi.
La giunta burkinabé criminalizza l’omosessualità
Recentemente, invece, la giunta militare burkinabé ha adottato la bozza di un nuovo codice sulla famiglia che criminalizza l’omosessualità. Finora il paese dell’Africa Occidentale era tra i 22 paesi del continente che consentiva le relazioni tra persone dello stesso sesso, punite invece con la morte o lunghe pene detentive in altri stati.
«D’ora in poi, l’omosessualità e le pratiche correlate saranno proibite e punibili dalla legge», ha affermato il ministro della Giustizia ad interim Edasso Rodrique Bayala. Affinché la legge entri in vigore, dovrà superare il voto parlamentare e poi essere promulgata da Traoré.
Da parte sua, invece, la giunta militare del Mali, al potere dal 2021, ha revocato nei giorni scorsi la sospensione dell’attività dei partiti politici che era stata varata ad aprile per “tutelare l’ordine pubblico”.
Al tempo stesso, però, la giunta golpista ha rinnegato la promessa di indire libere elezioni, rinviando il voto a tempo indeterminato per “motivi tecnici”. Le veementi proteste di molti partiti politici, che reclamavano il ritorno all’ordine costituzionale, avevano convinto i militari a bloccarne l’attività. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria