Cuba in Africa per l’incontro del Mnoal

Il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez, ha iniziato un viaggio in Togo, Benin, Etiopia e Uganda con l’obiettivo di rafforzare i legami con i paesi africani e partecipare a una riunione Ministeriale di Medio Termine del Movimento dei Paesi Non Allineati (MNOAL), che si terrà a Kampala (Uganda), il 16 ottobre. Il Mnoal è la seconda più grande organizzazione internazionale intergovernativa al mondo, dopo le Nazioni Unite.

Nato ufficialmente nel 1961 a Belgrado, in piena Guerra Fredda, su iniziativa di leader come Tito e Nasser, il Mnoal oggi conta circa 120 Stati membri, rappresentando oltre i due terzi di tutti i paesi del mondo, più numerosi osservatori. I suoi obiettivi includono la promozione del multilateralismo, lo sviluppo sostenibile, l’uguaglianza economica e sociale, la lotta alla povertà e la riforma del processo decisionale internazionale (come il Consiglio di Sicurezza dell’ONU). La presidenza del Movimento è a rotazione e cambia ogni tre anni e attualmente è detenuta dall’Uganda.

“Uno spazio importante per rafforzare l’unità e i principi di sovranità, pace e sviluppo tra le nazioni che ne fanno parte – ha detto  Rodríguez -, aree in cui Cuba è stata un attore impegnato sin dalla fondazione del Movimento”. Cuba – ha aggiunto – “ha mantenuto uno storico scambio accademico e sanitario con l’Africa, lasciando un’eredità significativa nella formazione di risorse umane e nella cooperazione medica, il che rappresenta un esempio di alleanza fruttuosa per affrontare sfide comuni”. Secondo i dati del Ministero della Sanità Pubblica dell’isola, a ottobre 2024, un totale di 3.633 collaboratori – tra cui 2.354 medici – prestavano servizio in 27 nazioni africane, il 50% dei Paesi del continente.

Cuba ha anche espresso la sua profonda preoccupazione e il suo rifiuto per la decisione imposta dal governo degli Stati uniti alla Repubblica Dominicana di escludere tre paesi –  Cuba, Venezuela, e il Nicaragua – dal X Vertice delle Americhe, che si terrà il 4 e 5 dicembre a Punta Cana. L’unità e la difesa della Nostra America – ha detto il ministero degli Esteri cubano – passano per un Vertice emisferico senza esclusioni.

Con l’esclusione di vari paesi, si consoliderebbe invece “l’involuzione storica di questo sistema di vertici e renderebbe impossibile uno scambio rispettoso e produttivo dell’America Latina e dei Caraibi con la potenza imperialista che torna a usare la politica delle cannoniere e la Dottrina Monroe contro la nostra regione”. Se questa decisione dovesse persistere – ha detto ancora Cuba – prevarrà la subordinazione e la sottomissione al vicino vorace ed espansionista, che minaccia la pace, la sicurezza e la stabilità regionali: in aperta sfida al Proclama dell’America Latina e dei Caraibi come Zona di Pace e comunità di Stati indipendenti e sovrani in esercizio della libera determinazione, in unità basata sulla diversità.

Il 28 e 29 ottobre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite discuterà il rapporto Necessità di porre fine al blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti d’America contro Cuba, già presentato alla stampa. Il documento evidenzia che il danno in questa fase ammonta a oltre 7.556 milioni di dollari (MDD) che, rispetto al rapporto del periodo precedente, è aumentato del 49%, a causa dell’inasprimento delle misure volte a soffocare l’economia del paese.

Si sottolinea inoltre che a ciò si aggiunge la politica migratoria motivata dal governo degli Stati uniti, la quale ha accentuato i flussi migratori da Cuba, sfociando, in un calcolo obiettivo, nella perdita di personale qualificato e forza lavoro del paese, quantificata in 2.570 MDD.

 Il deterioramento accumulato in queste oltre sei decadi di blocco è quantificato in 170.677 MDD, che “al valore dell’oro, per evitare le fluttuazioni del dollaro nella Banca Centrale, è equivalente a 2.103.000 MDD (due trilioni e centotré miliardi di dollari)”. Cosa avrebbe potuto fare Cuba, “al di là di quanto di buono è stato fatto in questi 60 anni, con questa cifra esorbitante, per un’economia piccola come la nostra? – ha denunciato il ministro Rodríguez, precisando che, se non ci fosse stato il bloqueo, nell’ultimo anno il Prodotto Interno Lordo di Cuba sarebbe cresciuto del 9,2%, una delle crescite più alte dell’emisfero.

Il Perù di nuovo in “vacancia”

L’ex Presidente del Congresso peruviano, il deputato José Jerí di Somos Perú, ha giurato come nuovo capo di Stato. Il Congresso della Repubblica ha destituito Dina Boluarte dalla carica di presidente, invocando come principale motivazione la causa di incapacità morale permanente. È stato, quindi, nuovamente attivato il dispositivo giuridico de la “vacancia” (destituzione), un meccanismo costituzionale assai controverso e utilizzato dalla borghesia per regolare i conti fra le diverse fazioni, in lotta per il controllo dell’apparato statale: il principale strumento per l’accumulazione di capitale, attraverso concezioni minerarie, grandi appalti, eccetera.

La frequente destituzione dei presidenti (“vacancia”) è il meccanismo che la fazione dominante (il Congresso, storicamente più legato agli interessi dell’oligarchia finanziaria e mineraria) usa per riaffermare la propria egemonia sull’Esecutivo. In nove anni, sette presidenti sono stati disarcionati mediante la “vacancia”. L’ultimo, Pedro Castillo, il maestro rurale non legato alle cerchie di potere dominanti, è ancora in carcere, prima destituito per “incapacità morale”, poi accusato di pesanti reati.

 Ora, con la destituzione di Boluarte e in conformità con l’articolo 115 della Costituzione, si attiva la linea di successione presidenziale. Essendo vacanti le cariche di primo e secondo vicepresidente, l’incarico di Capo dello Stato ricade immediatamente sul Presidente del Congresso, il deputato José Jerí. L’assunzione dell’incarico da parte di Jerí Oré avviene dopo che era stata presentata una mozione di sfiducia contro l’Ufficio di Presidenza del Congresso, ma non sono stati raggiunti i voti necessari per l’approvazione di tale richiesta. La gestione di Jerí Oré si è caratterizzata per un allineamento politico con le forze predominanti del Parlamento e per diverse controversie che hanno motivato indagini fiscali a suo carico.

Il suo voto come deputato fu a favore della destituzione presidenziale di Pedro Castillo nel dicembre 2022. In seguito, ha mostrato un marcato sostegno all’attuale Esecutivo, venendo segnalato come uno dei parlamentari che hanno appoggiato l’archiviazione delle indagini fiscali contro la presidente Dina Boluarte. È stato anche al centro di indagini penali, per sospetta violenza sessuale in complicità di un altro uomo.

L’assemblea plenaria del Congresso ha dibattuto fino a tarda notte quattro mozioni di destituzione promosse da diverse forze politiche che accusavano Boluarte di essere stata incapace di frenare l’ondata di sicariato, estorsioni e violenza criminale che colpisce le regioni del nord e del sud del Paese. La presidente era stata convocata per esercitare la sua difesa davanti al Parlamento, ma, conoscendo dall’interno i meccanismi della “vacancia”, non è intervenuta né ha inviato un rappresentante. Chi di “vacancia” colpisce…

Il processo è stato promosso da schieramenti che fino a pochi mesi fa sostenevano la sua permanenza, tra cui Fuerza Popular,Alianza para el Progreso, Renovación Popular, Podemos Perú, Avanza País, Acción Popular e Somos Perú. L’incapacità di Boluarte era stata “tollerata” (il Congresso l’aveva “blindata” sette volte) finché la “usurpadora” era tornata utile per schiacciare le proteste popolari del 2022-2023. Le forze conservatrici l’avevano lasciata al suo posto nonostante le indagini fiscali per i casi Rolex, chirurgia estetica e le morti durante le proteste. Ora, però, la votazione per destituirla ha superato ampiamente gli 87 voti richiesti dalla legge, segnando una rottura definitiva tra l’Esecutivo e le forze politiche che sostenevano il regime.

Nel testo della mozione si argomenta che Boluarte non ha adottato misure efficaci né politiche pubbliche chiare per frenare la criminalità, il che avrebbe configurato una condotta “omissiva” e “bocciata dalla popolazione” (l’indice di gradimento di Bouluarte era già da tempo ai minimi termini). “La situazione di estorsione, sicariato e criminalità ha raggiunto livelli allarmanti”, segnala il documento approvato nell’emiciclo.

L’incapacità di Boluarte di stabilizzare il paese a fronte della crescente ondata di criminalità organizzata e di proteste popolari non garantiva la continuazione indisturbata dell’accumulazione capitalista indisturbata. E, infatti, dopo aver assunto la Presidenza della Repubblica, l’esponente di Somos Perú ha assicurato che dichiarerà guerra alla delinquenza. Al contempo, si è riferito alla “Generazione Z” e ha detto che “mostrerà loro che ci saranno cambiamenti nel paese”.

L’assunzione del potere da parte di figure allineate con il Congresso e la loro promessa di “cambiamenti” per calmare i giovani che protestano sono tentativi di canalizzare il malcontento sociale senza affrontare le radici economiche della crisi strutturale (sfruttamento e disuguaglianza), che muovono le ripetute crisi istituzionali, a colpi di “vacancia”.

Cile, nessuna giustizia per i Mapuche

Mentre l’America latina progressista ha celebrato la giornata della resistenza indigena, il 12 ottobre,  nel Cile che si prepara alle elezioni del 16 novembre, cinque prigionieri politici Mapuche proseguono lo sciopero della fame iniziato l’8 settembre scorso, e denunciano il razzismo nel sistema giudiziario cileno. Protestano per le numerose irregolarità che hanno segnato il processo giudiziario contro di loro.

Si tratta del Caso Quilleco, in cui José Lienqueo, Oscar Cañupan, Roberto Garling, Bastián Llaitul e Axel Campos affrontano accuse pesanti, che non sono state debitamente provate, né tanto meno discusse in un tribunale in condizioni minime di giustizia. Dopo quasi due anni di custodia cautelare senza sentenza, i comunerosdenunciano un sistema di criminalizzazione politica, discriminazione istituzionale e negazione dei diritti fondamentali, fra i quali: la negazione sistematica della presenza fisica degli imputati in aula, nonostante questo sia un diritto garantito dalla Costituzione cilena e dalla Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL); la restrizione della partecipazione di familiari e autorità tradizionali Mapuche, in violazione al diritto a un giudizio pubblico e culturalmente pertinente.

Il processo, che era programmato per il 14 ottobre 2025, è stato arbitrariamente rinviato a febbraio 2026, una data che supera ampiamente il limite legale di due anni per mantenere una persona in custodia cautelare senza condanna.

Intanto, Karina Riquelme, l’avvocata della famiglia della difensora ambientale Mapuche Julia Chuñil, ha affermato che esiste un’intercettazione telefonica autorizzata in cui il proprietario della tenuta dove la donna è stata vista l’ultima volta rivela che fu “bruciata”. In una conferenza stampa, la parte querelante ha segnalato di aver avuto accesso alla registrazione attraverso la piattaforma della Procura in Linea, sistema dal quale, successivamente, ha denunciato di essere stata bloccata. Secondo la sua famiglia, Chuñil è stata vista l’ultima volta l’8 novembre 2024 nel settore Huichaco del comune di Máfil, Regione di Los Ríos, in circostanze sospette e dopo aver ricevuto molteplici minacce.

Sempre in Cile, è pronto per essere convertito in legge dall’Esecutivo il progetto – approvato dal Parlamento -,  che introduce la qualificazione giuridica di “Assente per Scomparsa Forzata” e crea un registro speciale per queste persone, avanzando nell’approvazione di una misura attesa dai familiari delle vittime della dittatura e dalle organizzazioni per i diritti umani. Durante la sua discussione al Senato, sono state apportate modifiche al testo, eliminando la norma che conferiva alla Sottosegreteria dei Diritti Umani la facoltà di emettere risoluzioni di riconoscimento giuridico e ritirando il meccanismo standardizzato che regolava tale processo. A tal proposito, Jaime Gajardo, ministro dei Diritti Umani, ha indicato che “1.469 persone sono state vittime della sparizione forzata durante la dittatura militare e di quelle 1.496 persone abbiamo ancora 1.162 persone senza localizzare la loro sorte”.