di Antonio Mazzeo
Pagine Esteri, 20 aprile 2021 (Il giacimento Zohr, foto Cipiota)- L’ordine generale è di diversificare origini e fonti di approvvigionamento energetico per non dover dipendere più dall’orso russo dopo la brutale aggressione all’Ucraina. Così uomini di governo e manager dell’ENI, il colosso di proprietà al 30% dello Stato italiano, stanno intensificando viaggi e contatti nei principali paesi produttori di idrocarburi, in Africa e in Medio oriente. Qualche mal di pancia alle forze politiche di centrosinistra l’ha provocato la notizia di un accordo sul gas con l’Egitto del dittatore Al-Sisi, quasi in contemporanea con l’ennesimo stop al procedimento penale contro i presunti responsabili della morte del giovane ricercatore Giulio Regeni, per l’indisponibilità a fornire qualsivoglia collaborazione ai giudici italiani da parte delle autorità del Cairo. Il segretario del Pd Enrico Letta ha espresso “moltissimi dubbi” sulle future forniture di gas egiziano all’ENI perché “la vicenda Regeni è un simbolo della necessità di difendere i diritti umani e di fare giustizia” e “il nostro governo deve essere molto più forte ed esigente nei confronti degli egiziani”. (1)
Letta sembra aver scoperto solo oggi gli affari dell’holding dell’energia all’ombra delle piramidi. Sarebbe bastata un’occhiata ai bilanci e alle note stampa ENI per verificare che quello odierno è però solo uno degli innumerevoli contratti stipulati nel paese nordafricano dopo il presunto raffreddamento delle relazioni diplomatiche, economiche e militari tra Roma e il Cairo per i depistaggi egiziani nelle indagini sull’omicidio di Giulio Regeni. Al segretario del partito democratico sembra siano sfuggite pure le frequenti visite in Egitto del potente amministratore delegato Claudio Descalzi e dei manager ENI, alcune delle quali conclusesi con fraterni tete-a-tete con il presidente Al-Sisi. In verità più che a diversificare, il governo Draghi sembra essere intenzionato ad aumentare i volumi delle importazioni di gas e petrolio dai consolidati partner strategici, Egitto in testa. E in quanto alla cattiva Russia, come vedremo, al di là delle narrazioni main stream, la “nuova” campagna ENI in territorio egiziano ripropone certo pragmatismo e certa ipocrisia del modello politico industriale italiano.
L’ultimo atto dell’egyptian connection si è consumato al Cairo lo scorso 13 aprile quando il direttore generale di ENI, Guido Brusco, e il presidente di EGAS, l’holding statale egiziana del settore gas hanno firmato un accordo quadro per “massimizzare” le esportazioni di GNL (gas naturale liquefatto). “Questo accordo mira a promuovere l’esportazione di gas egiziano verso l’Europa, e in particolare verso l’Italia, nel contesto della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio”, riporta la nota dell’ufficio stampa ENI. “Le parti hanno convenuto di valorizzare le riserve di gas egiziane aumentando le attività gestite congiuntamente. ENI ottimizzerà inoltre le campagne esplorative nei blocchi esistenti e nelle aree di nuova acquisizione nelle regioni del Delta del Nilo, del Mediterraneo Orientale e del Deserto Occidentale”. Il gruppo italiano punta ad ottenere entro la fine del 2022 forniture di GNL per volumi complessivi fino a tre miliardi di metri cubi. (2)
Nella stessa giornata del 13 aprile l’ENI ha reso noto la scoperta di nuovi giacimenti di olio e gas nella concessione di Meleiha, nel Deserto Occidentale, per circa 8.500 barili/giorno di olio equivalente. Nello specifico gli idrocarburi sarebbero stati individuati in tre pozzi (Nada, Meleiha SE ed Deep Emry) nelle formazioni di Alam El Bueib, Khatatba e Matruh. (3)
Altre importanti scoperte di olio e gas nel deserto erano state ufficializzate il 26 ottobre 2021, ancora una volta a Meleiha (pozzi Jasmine nelle formazioni Khatatba e Alam El Bueib) e nella concessione “sorella” di Meleiha Sud Ovest (un pozzo in località Bahariya), a circa 130 chilometri a nord dell’oasi di Siwa. Complessivamente le risorse di queste tre scoperte consentirebbero forniture di 6.300 barili di olio leggero e 200.000 metri cubi di gas associato al giorno.
Nella concessione di Meleiha Sud Ovest, in un’area di 3.013 km², l’ENI detiene il 100% di partecipazione come contractor group attraverso la propria consociata IEOC (International Egyptian Oil Company). Gli idrocarburi estratti vengono poi trasportati e trattati nell’impianto di Melehia dell’Agiba Petroleum Company, altra società detenuta pariteticamente da ENI-IEOC e dalla compagnia petrolifera di stato egiziana EGPC (Egyptian General Petroleum Corporation). Nella concessione di Meleiha, l’ENI – ancora attraverso IEOC – detiene il 76% di partecipazione mentre il rimanente 24% è in mano alla compagnia privata russa Lukoil. “IEOC e Lukoil costituiscono il contractor group della concessione in cui la Egyptian General Petroleum Corporation partecipa per conto del governo egiziano”, specifica l’holding italiana. (4)
L’aggressione e i bombardamenti delle forze armate di Mosca in Ucraina non hanno minimamente scalfito la partnership di ENI con quella che è la seconda società petrolifera in Russia per fatturato annuo (oltre 50 miliardi di dollari) e il cui amministratore delegato è il magnate Vagit Alekperov, notoriamente legato al presidente Vladimir Putin. Meno di un anno fa, il 15 giugno 2021, i manager del gruppo italiano hanno anche firmato con Lukoil e con l’Egyptian General Petroleum Corporation un accordo per “l’unione e l’estensione al 2036, con la possibilità di ulteriore prolungamento al 2041”, delle concessioni nel Deserto Occidentale egiziano. “L’accordo permetterà di valorizzare, attraverso condizioni contrattuali migliorative, le considerevoli risorse dell’area, aggiungendo nuovo potenziale esplorativo grazie ad una campagna di acquisizione sismica ad alta risoluzione e alla perforazione di pozzi esplorativi e di sviluppo”, enfatizza la nota emessa da ENI per l’occasione. “La costruzione di un nuovo impianto di trattamento del gas, che sarà connesso al Western Desert Gas Complex di Alessandria d’Egitto, offrirà inoltre la possibilità di valorizzare ulteriormente le riserve di gas della regione, rafforzando il ruolo di ENI come maggior produttore di gas in Egitto”. (5) Una leadership, dunque, che si è consolidata grazie alla collaborazione con l’holding in mano agli oligarchi di Madre Russia.
All’espansione dei profitti del colosso energetico italiano in territorio egiziano un contributo chiave è stato fornito inoltre dall’uomo forte del Cairo, Abdel Fattah Al-Sisi. Risale allo scorso 31 marzo l’ultimo vertice (il quarto a partire del 2020) tra l’amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi, e il colonnello-presidente della Repubblica Araba d’Egitto. “All’incontro era presente anche il ministro del Petrolio e delle risorse minerarie Tarek El-Molla”, riferisce l’ufficio stampa del gruppo. “In particolare si è affrontato il tema della produzione di gas naturale e dell’esportazione di GNL. Le parti hanno condiviso la visione dell’Egitto di diventare un hub regionale per il gas, facendo leva sugli impianti GNL esistenti. ENI produce oggi circa l’80% del gas destinato al mercato domestico per la generazione di elettricità. L’azienda è impegnata a sostenere la produzione locale attraverso una ambiziosa campagna esplorativa e di sviluppo, che andrà anche a contribuire all’export attraverso l’impianto di liquefazione di Damietta, riavviato con successo nel 2021, contribuendo a restituire all’Egitto il ruolo di esportatore netto di GNL”. (6)
La riapertura nella città di Damietta (delta del Nilo) del polo per la produzione di gas naturale liquefatto destinato all’export, dopo uno stop durato otto anni, è stata sancita con l’accordo stipulato l’1 dicembre 2020 tra il colosso italiano e due grandi aziende pubbliche egiziane, l’Egyptian General Petroleum Corporation e l’Egyptian Natural Gas Holding Company (EGAS). L’impianto ha una capacità di 7,56 miliardi di metri cubi di gas all’anno ed è di proprietà della SEGAS, società partecipata dalle due holding egiziane e dall’ENI attraverso l’Union Fenosa Gas (joint venture tra il gruppo italiano e la spagnola Naturgy Energy SA). Grazie a Damietta, l’ENI ha rafforzato la propria presenza nel Mediterraneo orientale, “una regione chiave per l’approvvigionamento di gas naturale, risorsa fondamentale per la transizione energetica”. “L’ENI – aggiunge il management – subentra infine nel contratto di acquisto del gas naturale destinato all’impianto e riceverà i diritti di liquefazione corrispondenti, aumentando così i volumi di GNL in portafoglio di 3,78 miliardi di metri cubi all’anno, che saranno disponibili senza restrizioni di destinazione”. Contestualmente la partecipazione in Union Fenosa Gas ha consentito ad ENI di fare ingresso nella commercializzazione di gas naturale in Spagna. (7) Nel luglio 2021, ancora a Damietta, il gruppo italiano in partnership con l’Egyptian Electricity Holding Company (EEHC) ed EGAS ha avviato un programma finalizzato alla generazione di idrogeno decarbonizzato, associato a un progetto di cattura e stoccaggio della CO2 e produzione di ammoniaca blu. (8)
L’ENI è presente in Egitto dal lontano 1954 e attualmente opera nell’esplorazione e nella produzione petrolifera, nella raffinazione, nell’estrazione del gas e nella chimica. La produzione petrolifera annuale è valutata in 27 milioni di barili; quella di gas in 15,6 miliardi di m³, mentre la produzione di idrocarburi è di 129 milioni di barili. A fine 2020 la transnazionale con quartier generale a San Donato Milanese (Milano) ha reso noto la scoperta di gas in un pozzo esplorativo nelle acque convenzionali del Delta del Nilo, in un’area denominata come “Great Nooros”, a circa 5 chilometri dalla costa e a 4 chilometri a nord del campo estrattivo di Nooros, scoperto nel luglio 2015. Le attività estrattive sono state avviata dalla società IEOC Production BW con sede a New Cairo, controllata ENI, insieme al colosso britannico BP e in coordinamento con l’Egyptian Petroleum Sector. IEOC detiene il 75% di interesse nella concessione, mentre BP il restante 25%. La licenza è operata invece da Petrobel, una joint venture paritetica tra IEOC Production e la compagnia di stato egiziana EGPC.
Ancora nelle acque della fragilissima regione socio-ambientale del Delta del Nilo, nel settembre 2019 l’ENI ha avviato la produzione del giacimento a gas di Baltim South West, anche stavolta in joint venture con la transnazionale BP. La produzione avviene da una piattaforma offshore collegata all’impianto a terra di Abu Madi, attraverso un gasdotto lungo 44 chilometri. Un secondo blocco esplorativo poco a sud ovest, denominato “West Sherbean” e la cui superficie è di 1.535 km², è stato assegnato dalle autorità egiziane ad ENI-BP il 15 febbraio 2019, qualche mese dopo un’altra licenza esplorativa onshore nel Delta, quella di El Qar’a di 64 km2. Questa concessione è in mano al consorzio composto da IEOC–ENI (37,5%), BP (12,5%) ed Egyptian General Petroleum Corporation (50%).
Perforazioni in acque profonde e attività esplorative sono in corso nel Mar Mediterraneo a circa 50 chilometri a nord della penisola del Sinai in un’area di 739 km2 (blocco Nour). Della concessione gli operatori sono l’ENI con una quota del 40%, BP con il 25%, la Mubadala Petroleum (una controllata di Mubadala Investment Company, compagnia di investimenti statale degli Emirati Arabi Uniti) con il 20%, mentre Tharwa Petroleum Company (compagnia statale egiziana) con il restante 15%.
A 190 km a nord della città di Porto Said, il gruppo italiano sta estraendo gas da uno dei maggiori giacimenti offshore di tutto il Mediterraneo, noto come “Zohr”, con una produzione di circa 200 mila barili di olio equivalente al giorno. La concessione del blocco vede accanto all’ENI (attraverso la controllata IEOC Production BW con la quota di partecipazione del 50%), ancora i britannici di BP e gli emiratini di Mubadala Petroleum (entrambe con il 10%) e – per il restante 30% – la compagnia petrolifera Rosneft controllata in buona parte dal governo della Federazione Russa. (9) Rosneft opera nell’estrazione, raffinazione, esportazione, distribuzione e vendita di petrolio e gas naturale e vanta fatturati annui superiori ai 110 miliardi di dollari.
Dopo l’aggressione di Mosca all’Ucraina, i governi di Stati Uniti e Unione europea hanno dichiarato l’intenzione di porre sotto embargo la grande azienda petrolifera; ad inizio aprile BP ha ceduto la quota del 19,75% posseduta in Rosneft, ma non risulta ad oggi che le sue esplorazioni effettuate in Egitto con ENI e i britannici siano state sospese o comunque ridimensionate. Sempre nel deserto egiziano, l’ENI ha avviato una campagna di perforazione in un’area di 104 km2 nella zona di concessione di Ras Qattara, ottenuta congiuntamente alla compagnia petrolifera di stato croata INA.
A inizio 2022 ENI si è pure aggiudicata cinque nuove licenze esplorative situate nell’offshore e onshore egiziano, in prossimità dei propri impianti di produzione. Due licenze si trovano nel Mediterraneo orientale, una nel Golfo di Suez e due nel Deserto Occidentale con una superficie totale di circa 8.410 kmq.. Le attività di ricerca verranno svolte dalla propria consociata consociata IEOC (blocchi Egy-Gos-13 ed Egy-Wd-9) o in partnership al 50% con BP (blocchi Egy-Med-E5 ed E6) e con Apex International Energy (Egy-Wd-7), società petrolifera privata quest’ultima, con quartier generale al Cairo ma controllata dal fondo d’investimento londinese “Bluewater”. (10)
In aggiunta ai progetti di gas, petrolio e idrogeno, il gruppo italiano punta pure allo sviluppo in Egitto di impianti fotovoltaici “per scopi civili di svariati GW”, tema sviluppato in particolare nel corso dell’ultimo vertice con il presidente Al-Sisi del 31 marzo scorso. Da quando è alla guida della Repubblica Araba d’Egitto dopo il golpe militare del luglio 2013, il colonnello-presidente Abdel Fattah Al-Sisi segue in prima persona tutti i più importanti programmi di sviluppo energetico del paese. Buona parte delle “antiche” concessioni estrattive ENI sono state prorogate fino alla fine del 2030 dopo la missione al Cairo dell’amministratore delegato Claudio Descalzi, il 4 gennaio 2017, suggellata con il vertice con il dittatore. “L’incontro è stato l’occasione per analizzare l’ampia attività svolta da ENI in Egitto, con un investimento complessivo nel paese per il 2016 pari a 2,7 miliardi di dollari”, si legge nella nota emessa dall’holding italiana. “L’Ad Descalzi e il Presidente Al-Sisi hanno esaminato l’andamento delle attività di sviluppo del giacimento di Zohr (quello che vede operare in partnership ENI, BP, Mubadala Petroleum e i russi di Rosneft, nda) e l’avvio della produzione è confermato alla fine del 2017 (…) Inoltre, Descalzi e il Presidente Al-Sisi hanno discusso delle future attività esplorative di ENI in Egitto, tra cui i due nuovi accordi di concessione per i blocchi di North El Hammad e di North Ras El Esh, siglati il 27 dicembre 2016 in seguito alla gara internazionale di EGAS del 2015”. (11)
Un anno prima del vertice ENI/Al-Sisi, Giulio Regeni era stato sequestrato, torturato e barbaramente massacrato al Cairo. E per tutto il 2016 l’infernale macchina militare-poliziesca del regime aveva macinato le piste false e i depistaggi che hanno assicurato fino ad oggi l’impunità totale ai mandanti e agli esecutori dell’omicidio. Pagine Esteri
Note:
(4) https://www.eni.com/it-IT/media/news/2021/10/eni-dog.html