Pagine Esteri – I negoziati sul trattato di pace tra Armenia e Azerbaigian sono stati completati con l’accordo sul testo definitivo. Lo ha confermato ieri il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, parlando con alcuni giornalisti nei pressi della sede del partito di governo “Contratto civile” a Erevan. «Il testo è pronto per la firma, ora siamo pronti ad avviare discussioni sui tempi e sul luogo», ha dichiarato Pashinyan.

Per quanto riguarda le modalità della firma, Pashinyan ha ricordato che il ministero degli Esteri dell’Azerbaigian ha espresso disponibilità a trattare il tema in un formato bilaterale. «Loro hanno le loro idee, noi le nostre. Immagino che durante queste discussioni cercheremo di avvicinare le posizioni», ha concluso il premier armeno.

Erevan ha comunicato a Baku, tramite canali diplomatici, l’accettazione delle modifiche e ha proposto di rilasciare una dichiarazione congiunta per ufficializzare il completamento dei negoziati, ma l’Azerbaigian ha optato per un annuncio unilaterale.

Trattato di pace, un percorso accidentato
Con la conferma dell’accordo sulla bozza del “Trattato per l’istituzione della pace e delle relazioni interstatali”, l’Armenia si dichiara pronta a discutere con l’Azerbaigian le modalità per la firma definitiva del documento, che però non sembra all’ordine del giorno.

«Ribadiamo la posizione di principio e di lunga data dell’Azerbaigian secondo cui la condizione principale per la firma del testo negoziato è la modifica della Costituzione armena al fine di eliminare le rivendicazioni contro la sovranità e l’integrità territoriale dell’Azerbaigian» recita infatti una nota emessa dal Ministero degli Esteri azero. In precedenza il ministro degli Esteri azero Ceyhun Bayramov si era rallegrato del fatto che Erevan avesse accettato le proposte di Baku in merito a due articoli controversi del trattato.

Ma il regime azero pretende anche lo scioglimento del Gruppo di Minsk che opera nell’ambito dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), accusata dai funzionari di Baku di essere prevenuta nei loro confronti.

La modifica della Costituzione armena, richiesta da Baku, con la rimozione dal preambolo delle rivendicazioni territoriali su parti del territorio controllato dall’Azerbaigian, potrebbe però allontanare la firma dell’accordo, rafforzando le forze politiche che in Armenia si oppongono alla fine del conflitto con i vicini. Solo due mesi fa, inoltre, il presidente azero Ilham Aliyev aveva accusato l’Armenia di rappresentare una minaccia “fascista” che andava annientata, una dichiarazione che i leader armeni avevano considerato il preludio ad una nuova aggressione militare da parte di Baku.

L’agenzia di stampa statale russa TASS ha citato Pashinyan affermando che l’accordo raggiunto dovrebbe impedire, come richiesto dagli azeri, lo schieramento del personale di paesi terzi lungo il confine tra Armenia e Azerbaigian. Tale disposizione riguarderebbe sia i membri di una missione di monitoraggio civile dell’Unione Europea attualmente dispiegata e fortemente criticata da Baku, sia le guardie di frontiera russe che sorvegliano alcune parti del confine tra i due paesi.

L’Armenia e l’Azerbaigian hanno combattuto una serie di guerre dalla fine degli anni Ottanta, quando le due repubbliche facevano ancora parte dell’Unione Sovietica. L’oggetto dello scontro è stato il Nagorno-Karabakh, una regione dell’Azerbaigian che aveva una popolazione prevalentemente armena e che si rese indipendente da Baku con il sostegno di Erevan. Nel settembre 2023, l’Azerbaigian ha ripreso il Karabakh con la forza, grazie al sostegno della Turchia e di Israele, costringendo i 100.000 armeni che la abitavano a fuggire per rifugiarsi in Armenia.

Proteste a Erevan

Il processo ai leader armeni del Nagorno-Karabakh suscita proteste
Proprio mentre Erevan annuncia il raggiungimento di un accordo con gli storici nemici, i
l processo a Ruben Vardanyan – un importante uomo d’affari armeno ed ex ministro della Repubblica di Artsakh (come si era denominato il Nagorno-Karabakh durante l’indipendenza di fatto) – in corso a Baku ha scatenato nuove proteste contro il governo armeno.

Nei giorni scorsi la stampa di Erevan ha infatti pubblicato nuovi dettagli sul peggioramento della salute di Vardanyan lanciando accuse di tortura alle forze di sicurezza azere. L’uomo, arrestato dalle autorità azere il 27 settembre del 2023 mentre tentava di rifugiarsi in Armenia, è sotto processo per ben 42 reati, tra i quali quelli di terrorismo e finanziamento del terrorismo.

I suoi avvocati difensori hanno contestato l’imparzialità della corte e accusato la magistratura di Baku di agire per motivi politici. Il 19 febbraio Vardanyan ha anche iniziato uno sciopero della fame per protestare contro quella che descrive come una “farsa giudiziaria”.

Il processo ha scatenato numerose proteste in Armenia. Partiti e associazioni di opposizione a Pashinyan hanno organizzato alcune manifestazioni davanti all’ufficio del Comitato Internazionale della Croce Rossa ed un corteo ha sfilato dalla sede del Ministero degli Esteri al Palazzo del Governo a Erevan, pretendendo che l’esecutivo si spenda per la liberazione dell’ex leader del Nagorno Karabakh e degli altri funzionari armeni imprigionati in Azerbaigian.

Sono infatti 16 gli ex leader delle istituzioni armene del Nagorno Karabakh che sono sotto processo a Baku, ai quali occorre aggiungere tre ex presidenti della repubblica processati separatamente.

Le mobilitazioni e lo sciopero della fame hanno indotto Pashinyan e il Ministro degli Esteri Ararat Mirzoyan a esercitare nuove pressioni – finora senza esito – sulle autorità azere per il rilascio dei prigionieri. Il premier – da sempre alla ricerca di forti relazioni con gli Stati Uniti e la Francia, in particolare dopo l’abbandono dell’ex repubblica sovietica da parte di Mosca – ha anche cercato di scaricare le responsabilità degli eventi sulla Russia, affermando che Vardanyan era stato inviato in Nagorno Karabakh dal Cremlino.

Da parte sua il governo russo ha declinato ogni coinvolgimento nella vicenda, ricordando che l’ex uomo d’affari aveva deciso spontaneamente di rinunciare alla cittadinanza russa nel 2021 per trasferirsi in Nagorno Karabakh ed entrare a far parte dell’amministrazione dell’autoproclamata Repubblica di Artsakh.

Nato a Erevan durante l’epoca sovietica, Vardanyan ha fatto fortuna in Russia, investendo una parte importante dei suoi capitali in Armenia. Negli ultimi anni, a causa dei suoi legami con l’ex amministratice dell’agenzia statunitense “Usaid” Samantha Power e con l’attore George Clooney è stato spesso accusato di essere una “quinta colonna” filoamericana in Russia e in Armenia.

Al tempo stesso il magnate è stato accusato di gestire in Armenia, attraverso la sua banca, un sistema di riciclaggio di denaro proveniente dalla Federazione Russa, e di operare per garantire gli interessi del Cremlino nel paese di origine.

Tra le altre cose la magistratura dell’Azerbaigian lo accusa di aver contrabbandato mine antiuomo e minerali preziosi mentre era ministro della Repubblica di Artsakh, finché Vardanyan non si è dimesso dal suo incarico su pressione del governo dell’enclave armena e non è stato arrestato al termine dell’operazione militare azera che ha disarmato le forze di difesa armene e posto fine all’esistenza dell’entità armena indipendente.

Baku espelle la Croce Rossa e le agenzie dell’ONU
A causa dello sciopero della fame – in secondo da quanto Vardanyan è stato catturato dagli azeri – le condizioni di salute dell’uomo sono notevolmente peggiorate. I suoi sostenitori sostengono che la sua vita sia in pericolo, soprattutto dopo che il regime di Ilham Aliyev ha ordinato al Comitato Internazionale della Croce Rossa, unico organismo internazionale che ha finora avuto il permesso di visitare i 23 dirigenti armeni detenuti nel paese, di lasciare l’Azerbaigian.

Le autorità hanno accusato la Croce Rossa di aver finanziato illegalmente alcune ong non registrate e di aver spiato l’esercito azero durante le ripetute offensive azere contro il Nagorno Karabakh.

La decisione riguarda anche diverse agenzie dell’ONU e organizzazioni internazionali che finora operavano nel paese. Secondo il regime di Baku, il paese è diventata ormai una potenza economica e non ha più bisogno dell’assistenza da parte degli organismi internazionali, considerati indesiderati testimoni delle continue violazioni dei diritti umani, nonostante le quali l’Azerbaigian ha ospitato lo scorso anno la conferenza COP29 sul clima e sarà la sede l’anno prossimo del World Urban Forum.

In virtù del proprio ruolo di produttore di gas e petrolio e della sua posizione strategica nel Caucaso Meridionale. l’Azerbaigian gode di ottime relazioni sia con la Federazione Russa (anche se i rapporti con Mosca risentono dell’abbattimento per errore di un aereo di linea azero da parte russa alla fine del 2024) sia con gli Stati Uniti e alcuni paesi europei, in particolare l’Italia e l’Ungheria.

L’Armenia appare invece relativamente sola, nonostante il riaffacciarsi nel paese dell’influenza occidentale dopo che il governo di Erevan ha accusato la Russia – che in Armenia possiede una grande base militare – di non fare abbastanza per sostenerla. Lo scorso anno Pashinyan ha anche sospeso la partecipazione dell’Armenia al Trattato di Sicurezza Collettiva, guidato dalla Russia. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria