CITTÀ DEL MESSICO. – Trasportatori e contadini hanno bloccato le strade per protestare contro la riforma della Ley de Aguas (legge sull’acqua) con cui il governo federale promette di seppellire la “legge salinista”, promulgata dall’allora presidente Salinas de Gortari nel 1992 che ha trasformato l’acqua in merce.
La tensione ha diviso le opinioni. Le autorità hanno assicurato che questa nuova legge garantirà finalmente il diritto umano all’acqua e toglierà i privilegi storici ai grandi concessionari. “Che l’acqua smetta di essere vista come una merce e sia riconosciuta come un diritto umano”, ha insistito il ministro della Commissione Nazionale dell’Acqua (Conagua), Efraín Morales López.
Ma dal punto di vista dei cittadini, l’esperta Elena Burns analizza l’iniziativa e lancia un allarme: è “un lupo travestito da agnello”. L’ex vicedirettrice della Conagua, nota per aver dimezzato le concessioni alle grandi aziende durante la sua gestione, assicura che il progetto mantiene un modello “privatizzatore ed estrattivista”. È d’accordo con il Controllo Nazionale Autonomo dell’Acqua (CNAA), che denuncia che la proposta è stata approvata dalla stessa Conagua, omettendo gli accordi di 16 Parlamenti Cittadini Aperti.
Al centro della controversia c’è la questione se la legge smantellerà davvero il sistema che per 33 anni ha permesso alle grandi industrie di accaparrarsi 600 mila concessioni – rispetto alle 2 mila iniziali – mentre le comunità rurali soffrono di carenza idrica; o se, sotto una retorica dei diritti umani, si perfezionerà semplicemente lo stesso meccanismo di appropriazione, ora con più potere concentrato in una Conagua nota per la sua opacità e corruzione.
L’illusione della riforma: cambiamenti superficiali, strutture intatte
La promessa ufficiale sembra convincente: sostituire la Legge sulle acque nazionali del 1992 – che durante il sessennio di Salinas de Gortari ha trasformato l’acqua in un bene commerciabile – con una nuova Legge generale sulle acque che dia priorità al diritto umano. Tuttavia, la CNAA avverte che si tratta di “un tentativo di perpetuare la legge salinista, con modifiche minime”.
La proposta di legge mantiene le strutture e i meccanismi che per tre decenni hanno provocato lo sfruttamento eccessivo delle falde acquifere, l’inquinamento e l’emarginazione idrica di ampi settori della popolazione. Peggio ancora, secondo la CNAA, «include un capitolo dedicato a “promuovere e incoraggiare” la privatizzazione delle opere idrauliche e consente la privatizzazione dei sistemi idrici e fognari», contraddicendo frontalmente il discorso ufficiale sulla demercificazione.
Il processo legislativo evidenzia questa contraddizione fondamentale. Mentre le autorità parlano di inclusione, il progetto della Conagua è stato approvato dalla stessa istituzione, omettendo completamente le proposte dei cittadini generate in 16 Parlamenti Aperti. Elena Burns, che ha raccolto questi accordi, sottolinea l’incoerenza di mantenere due leggi simultanee: “Non ha senso dal punto di vista costituzionale avere due leggi, soprattutto quando una legge afferma che l’acqua deve essere riconosciuta come un diritto umano e l’altra determina chi ha accesso all’acqua e manterrà il sistema così com’è”.
La CNAA deplora che il progetto mantenga i Consigli di bacino, «dove sono rappresentati solo i grandi concessionari, come unica istanza di coordinamento tra governo e cittadini». Multinazionali come Coca-Cola, grandi birrifici e aziende minerarie continuano ad avere voce in capitolo, mentre vengono esclusi i popoli indigeni, i sistemi comunitari e le comunità colpite dall’inquinamento.
Il sussidio occulto: grandi industrie che non pagano
Uno dei punti più gravi dell’attuale legislazione – e che la riforma non corregge – è la discrezionalità nella riscossione dei diritti. Elena Burns presenta dati schiaccianti: i grandi utenti industriali “hanno concessioni per 4,3 miliardi di metri cubi d’acqua e pagano diritti su 900. Nel 2023 avrebbero dovuto pagare 56 miliardi di pesos, ma ne hanno pagati solo 12”.
La CNAA è più specifica: nel 2023, i concessionari per uso industriale e servizi hanno dichiarato solo 951 milioni di metri cubi dei 4.360 milioni concessi, e Conagua ha riscosso solo 12,4 dei 55,6 miliardi di pesos dovuti. Questa evasione fiscale idrica rappresenta un sussidio occulto miliardario alle grandi industrie, distorcendo completamente qualsiasi principio di gestione equa.
La riforma propone di ridurre drasticamente il termine per richiedere proroghe delle concessioni: da quattro anni e mezzo a soli sei mesi. Secondo Burns, questo sarà “un meccanismo per l’estinzione massiccia delle piccole concessioni, che attualmente rappresentano l’80% del totale ma dispongono solo del 20% dell’acqua”.
Un agricoltore o un proprietario terriero difficilmente dispone di una consulenza legale costante che gli ricordi di adempiere a questa procedura in tempi così ristretti. Questo cambiamento, apparentemente tecnico, funziona come un perfetto meccanismo di “appropriazione per logoramento”, in cui l’incapacità dei piccoli produttori di districarsi nella burocrazia comporterà la perdita massiccia dei loro diritti, liberando volumi per i grandi concessionari.
Il vero volto dell’appropriazione: agroindustria e centrali termoelettriche
Burns richiama l’attenzione sul processo di appropriazione da parte dell’agroindustria a partire dagli anni ’90, in particolare dell’agroindustria degli zuccherifici e imbottigliatori, che insieme alle centrali termoelettriche sono i principali utilizzatori di acqua per uso agricolo. Mentre le autorità annunciano investimenti milionari per la tecnificazione dell’irrigazione in cambio della restituzione dell’acqua risparmiata da parte dei concessionari, la presidente Sheinbaum ha denunciato che alcuni si rifiutano di consegnarla e «c’è chi la vende».
Questa pratica è particolarmente grave quando si tratta di distretti irrigui che vendono ai comuni l’acqua che hanno ottenuto gratuitamente, commercializzando un diritto che dovrebbe essere pubblico.
Conagua: arbitro o giudice parziale?
La proposta concentra in Conagua, la Commissione Nazionale dell’Acqua, il potere esclusivo di concedere o revocare le concessioni. Sebbene in teoria ciò miri a porre fine al mercato informale della compravendita, per le associazioni della societá civile significa conferire tutto il potere a “un organismo opaco in cui sono stati verificati numerosi casi di corruzione”.
Burns esprime preoccupazione per le difficoltà di accesso delle comunità rurali ai sistemi digitali di Conagua e mette in discussione i criteri che l’istituzione utilizzerebbe per decidere chi ottiene le concessioni. “Per noi è un errore conferire tutto il potere a un’istituzione governativa, senza alcun criterio, senza trasparenza e senza partecipazione”, afferma, sottolineando che la Costituzione richiede la partecipazione dei cittadini e dei tre livelli di governo.
In aggiunta a ciò, una delle lacune più gravi segnalate dalla CNAA è che la proposta “esclude il riconoscimento dei diritti all’acqua dei popoli e delle comunità indigene”, un diritto sancito dalla Costituzione dal 2001. Inoltre, non riconosce i decreti presidenziali, che hanno valore giuridico superiore alle concessioni.
Questa omissione non è tecnica ma politica: ignora i diritti storici e i sistemi comunitari di gestione dell’acqua che hanno dimostrato una maggiore sostenibilità rispetto al modello centralizzato statale.
Gestione incompetente: il caso della falda acquifera Libres-Oriental
Francisco Castillo Montemayor, ex responsabile dell’Ambiente a Puebla, illustra le carenze gestionali con il caso della falda acquifera Libres-Oriental: «Fino al 2019 aveva una disponibilità compresa tra 4 e 7 metri cubi, mentre nel 2020 improvvisamente la disponibilità è diventata quasi nulla. Attualmente ha un deficit di 22 milioni di metri cubi».
La sua diagnosi è categorica:
«Il problema dell’acqua nel 70% del territorio nazionale è dovuto all’inefficienza nella gestione, non alla scarsità delle risorse».
Questa incompetenza tecnica, unita agli interessi economici, ha creato una crisi artificiale che giustifica riforme che, invece di correggere il problema, lo aggravano.
Da parte sua, Elena Burns sintetizza il verdetto degli esperti: l’iniziativa «ci fa pensare che semplicemente si continui ad alimentare il sistema estrattivista e mercantilista. Nella Legge Nazionale sull’Acqua non si fa menzione del diritto umano all’acqua, non ci fornisce alcuno strumento per poter obbligare il governo a rispettare il diritto umano dei cittadini all’acqua».
L’omissione del minimo vitale gratuito – elemento essenziale del diritto umano all’acqua – conferma che la retorica dei diritti è solo una copertura per mantenere intatto un sistema di privilegi. Mentre il governo annuncia che modificherà l’iniziativa dopo le proteste, la sfiducia dei cittadini continua a crescere: temono che i cambiamenti siano solo cosmetici e che, dopo l’apparente dibattito, si consolidi un modello che perpetua l’acqua come merce per pochi e sete per molti. Pagine Esteri
















