Questo pezzo è stato pubblicato in origine sul quotidiano Il Manifesto

Ronald Lamola non si arrende. L’arrivo a Johannesburg il mese scorso di un aereo con a bordo 153 gazawi è parte di una «operazione chiaramente orchestrata» per sfollare i palestinesi. «Non vogliamo che arrivino altri voli perché questo è un chiaro programma per espellere i palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania», ripete da allora il ministro degli Esteri sudafricano. La questione è sotto indagine e si cerca di fare piena luce sulle attività della Al Majid, l’oscura organizzazione (non registrata) gestita da un israeliano-estone, Tomer Janar Lind, che ha pianificato il viaggio dall’aeroporto israeliano di Ramon verso il Sudafrica, con scalo in Kenya, per i gazawi dietro il pagamento di almeno 2.000 dollari per ogni posto sul volo charter. E mentre il governo israeliano prova a tenersi ai margini, non è insignificante quanto riferito dal quotidiano Haaretz sull’Ufficio per l’Emigrazione Volontaria di Israele, presso il ministero della Difesa, che ha segnalato la Al Majid alle Forze armate per aiutarla a coordinare le «partenze volontarie» da Gaza.

La Nakba del 1948 è solo il capitolo più amaro e tragico dell’espulsione dei palestinesi. Nei decenni successivi alla nascita di Israele, governi di ogni colore hanno pianificato varie strategie, più o meno drastiche, per spingere i palestinesi fuori dalla loro terra, nel quadro di discussioni che mettevano insieme espansionismo territoriale e questione demografica. Pertanto, l’«emigrazione volontaria» dei palestinesi fu affrontata subito dopo la guerra del 1967, quando Israele, oltre a Gerusalemme Est, occupò la Cisgiordania e Gaza. Le analogie tra quel misterioso viaggio aereo della scorsa settimana in Sudafrica quasi sessant’anni fa sono sorprendenti. E riemerge, a distanza di tanto tempo, anche il ruolo svolto nell’«emigrazione» dei gazawi da un’icona italiana del movimento sionista, Ada Sereni.

Nei mesi successivi alla Guerra dei Sei Giorni, i leader israeliani furono impegnati a discutere se tenere o «restituire» i territori palestinesi appena occupati in cambio di un accordo con i paesi arabi. Di pari passo, le componenti più nazionaliste (e messianiche) dell’establishment premevano per il controllo permanente della «biblica Terra di Israele» sotto il controllo dello Stato ebraico: non solo la Cisgiordania, anche la Striscia di Gaza, di cui chiedevano l’annessione. Ma c’erano troppi arabi in quelle terre e occorreva mandarli via in gran numero, prima della colonizzazione che sarebbe iniziata a breve. Come raggiungere questo obiettivo fu oggetto di discussioni e piani. Si scelse l’«emigrazione volontaria», attraverso il trasferimento di migliaia di gazawi in Cisgiordania, anche con offerte di lavoro, credendo che sarebbero stati naturalmente spinti a trasferirsi in Giordania (che nel 1967 aveva già accolto circa duecentomila profughi palestinesi). Le cose però non andarono come previsto: i gazawi non abbandonavano la loro terra.

Così il premier Levi Eshkol, alla fine del 1967, prese in mano la situazione formando un’unità segreta. Nel 2005, uno dei membri dell’unità, Yaakov Kedem, raccontò a Haaretz come migliaia di gazawi furono mandati in ogni modo in Giordania, sotto la direzione del generale Shlomo Gazit, capo dell’Amministrazione per gli affari civili nei Territori occupati, oggi chiamata Cogat. Ne scrive anche lo storico israeliano Tom Segev. Eshkol decise quindi di mettere Ada Sereni alla direzione strategica dell’operazione di «emigrazione volontaria».

Ada Sereni e il marito Enzo furono, nel 1927, tra i primi ebrei italiani a stabilirsi in Palestina. Enzo Sereni tornò varie volte in Italia e in Europa per conto del movimento sionista. Dopo aver appreso della morte del marito, ucciso nel campo di concentramento di Dachau, Ada aderì formalmente al Mossad LeAliya Bet, che all’epoca operava per facilitare l’immigrazione ebraica nella Palestina sotto mandato britannico, maturando una notevole esperienza logistica e negoziale. «Levi Eshkol, perciò, nomina a capo dell’unità per Gaza una donna, Ada Sereni», spiega lo storico Omri Shafer Raviv in un’intervista all’Istituto Akevot. «Nessuno pensava a lei. Vive in Italia in quel periodo, non in Israele, ma ha molta esperienza nel trasferire persone da un luogo all’altro. E per questo Eshkol pensa a lei, come a qualcuno che possa riuscire a far arrivare profughi arabi palestinesi da Gaza in altri paesi senza che nessuno se ne accorga, con vari metodi riservati, se necessario corrompendo qualcuno o ricorrendo ad altre operazioni simili».

I partner di Sereni sono il capo dello Shin Bet, il capo del Mossad e i consulenti per gli affari arabi del primo ministro. L’obiettivo, poi ridimensionato, è far emigrare circa quarantamila famiglie palestinesi. Per qualche tempo non vengono attuate strategie specifiche perché disoccupazione e difficili condizioni di vita spingono comunque migliaia di gazawi a trasferirsi. L’Istituto Akevot ha pubblicato un documento ufficiale in cui, nel marzo del 1968, Eshkol domanda ad Ada Sereni: «Quanti arabi hai rimosso?». Tuttavia, dopo alcuni mesi, i numeri calano. La battaglia di Karameh, in Giordania, nella primavera del 1968, durante la Guerra di Attrito, che vide unità militari israeliane respinte con perdite significative dai combattenti di Fatah, diede una improvvisa ed enorme popolarità alla resistenza palestinese che si sarebbe poi riunita sotto l’ombrello della nuova Olp, non più controllata dai paesi arabi. Dopo Karameh, gli abitanti di Cisgiordania e Gaza aderirono in gran numero alle nascenti organizzazioni palestinesi. I più giovani abbandonarono l’idea di trasferirsi all’estero alla ricerca di una vita più facile, per partecipare alla lotta contro l’occupazione. La Giordania chiuse inoltre le sue frontiere all’ingresso di altri palestinesi di Gaza.

«Sereni comincia a sondare vari paesi che potrebbero accogliere gli abitanti di Gaza al posto della Giordania», prosegue Shafer Raviv. «Questo lo abbiamo appreso da documenti d’archivio, ma non sappiamo se lei o qualcun altro riuscì a ottenere un’intesa con il Paraguay. In ogni caso, il capo del Mossad, Zvi Zamir, si presentò nel 1969 alla Commissione ministeriale per i Territori con un accordo con il governo paraguaiano per il trasferimento di palestinesi dalla Striscia di Gaza nel paese sudamericano, con un visto di lavoro. In segreto, Israele avrebbe pagato le spese di viaggio, il biglietto per il Paraguay e dato a ogni persona in partenza una somma per potersi stabilire, oltre a 33 dollari allo Stato paraguaiano per ogni profugo accolto». In questo modo, nei piani israeliani, sessantamila gazawi sarebbero arrivati in America Latina.

Nel 1969, come oggi, gli «emigranti» non avevano contatti diretti con il Mossad e Israele non appariva coinvolto apertamente. Ad esporsi erano agenzie di mediazione gestite dai servizi segreti. Il piano fallì quando, il 4 maggio 1970, due palestinesi, sospettando che dietro il loro viaggio ci fosse il Mossad, spararono negli uffici dell’ambasciata israeliana ad Asunción uccidendo una funzionaria. Fu la fine del progetto Paraguay. Ma nei decenni successivi, fino ai giorni nostri, i piani di trasferimento ed «emigrazione volontaria» dei palestinesi di Gaza sono rimasti sempre sul tavolo. Un tempo coinvolgevano il Paraguay, oggi l’Africa, l’Indonesia e chissà quali altri paesi.