di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 20 ottobre 2023 – La riconquista da parte dell’Azerbaigian del Nagorno-Karabakh, enclave armena che dopo 30 anni ha cessato di essere una repubblica di fatto indipendente da Baku lo scorso 20 settembre, non sembra aver riportato la calma nella regione, anzi.
Dagli USA voci di una imminente invasione
Secondo il quotidiano “Politico”, a inizio ottobre il segretario di Stato americano Antony Blinken avrebbe avvisato un piccolo gruppo di parlamentari sulla possibilità che l’Azerbaigian proceda presto ad un’invasione dell’Armenia. L’amministrazione Biden ha smentito, ma poi il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha avvisato Baku sulle «gravi conseguenze» derivanti la violazione dell’integrità territoriale armena.
Di nuovo, rispetto all’allarme lanciato da Blinken, c’è ora che il regime di Ilham Aliyev potrebbe approfittare della crisi mediorientale per portare a termine, impunito, un obiettivo strategico di Baku: l’occupazione del sud dell’Armenia.
In numerose occasioni lo stesso dittatore azero ha definito la provincia meridionale armena di Syunik come “Zangezur occidentale”, reclamandone la sovranità. Lo stesso ha fatto a proposito della capitale armena Erevan, definita in realtà «una città storicamente azera».
Aliyev issa la bandiera azera sull’Artsakh
Dopo che le sue truppe hanno sbaragliato le difese della Repubblica di Artsakh in appena 24 ore, decretando la fine della plurisecolare presenza armena nella regione e la precipitosa fuga di più di 100 mila abitanti terrorizzati dalla pulizia etnica, il 15 ottobre il leader azero si è recato a Stepanakert, l’ex capitale del Nagorno-Karabakh ridotta ormai a città fantasma. Nella ribattezzata Khankendi, Aliyev ha issato la bandiera azera e calpestato quella armena, radioso per la vittoria che, ha spiegato, ha esaudito un desiderio coltivato per 20 anni, cioè da quando sostituì il padre Heydar alla guida del regime. Entro il 2025, ha annunciato Aliyev, 140 mila coloni azeri verranno insediati nella regione riconquistata.
Una “grande Turchia” dal Mediterraneo alla Cina
Ora Baku sembrerebbe voler approfittare del contesto internazionale e dell’estrema debolezza dell’Armenia per invaderla, occupandone i territori meridionali; otterrebbe così la continuità territoriale con il Nakhchivan, provincia azera che sorge ad ovest del territorio armeno, per raggiungere il quale da decenni i convogli in partenza da Baku devono attraversare il nord dell’Iran, paese con il quale l’Azerbaigian ha rapporti non proprio idilliaci.
L’Iran infatti, che pure si è tenuta fuori dal conflitto azero-armeno, teme assai la possibile continuità territoriale che proietterebbe l’influenza economica, politica e militare turca fino all’Asia centrale costellata di ex repubbliche sovietiche turcofone e fino al cosiddetto “Turkestan orientale”, cioè la regione cinese dello Xinjiang abitata dagli Uiguri musulmani, bypassando completamente Russia e Iran.
Inoltre Teheran rimprovera ad Aliyev la sua alleanza con Israele e la concessione a Tel Aviv di alcune basi, in territorio azero, dalle quali gli israeliani spiano l’Iran. Da tempo Israele fornisce quasi il 70% delle armi acquistate dall’Azerbaigian, che in cambio fornisce a Tel Aviv il 40% degli idrocarburi importati. Nel frattempo Baku caldeggia un avvicinamento ulteriore tra la Turchia – il principale sponsor dell’espansionismo azerbaigiano – e Israele, che però proprio in questi giorni il massacro dei palestinesi di Gaza da parte di Tsahal mette a dura prova.
Per tentare di dissuadere Aliyev dall’aggredire Erevan, Teheran negli ultimi mesi ha tentato di intavolare con Baku una trattativa per la normalizzazione quantomeno delle relazioni commerciali, promettendo una via più rapida per le merci e gli idrocarburi azeri nel loro transito verso ovest attraverso il territorio iraniano. Aliyev non sembra tirarsi indietro.
Continue minacce all’Armenia
Però al tempo stesso il regime azero continua a mandare messaggi aggressivi all’Armenia, accusata di ostacolare la continuità territoriale con il Nakhchivan e di continuare ad occupare 8 villaggi azeri, che si trovano in 5 piccole exclave azerbaigiane in territorio armeno.
In realtà l’Azerbaigian occupa 215 chilometri quadrati di territori strappati alla Repubblica di Armenia, per la maggior parte nell’aggressione militare condotta contro Erevan nel settembre 2022, quando si impossessò di alture strategiche che consentirebbero alle truppe di Baku di bersagliare obiettivi armeni anche a grande distanza.
Mentre a Baku, sostengono alcuni analisti che monitorano i cieli, continuano ad arrivare cargo israeliani carichi di armi di ultima generazione, le truppe armene dispongono di difese obsolete. Difficilmente la promessa di Macron di inviare armi a Erevan – ammesso che si concretizzi – cambierà di molto i rapporti di forza.
Erevan e Mosca sempre più distanti
Mosca, da parte sua, ha da tempo mollato l’Armenia, avamposto cristiano nel Caucaso islamico ormai abbandonata al suo destino in virtù di vari fattori. Da una parte la volontà di punire il governo di Nikol Pashinyan, filoccidentale e ulteriormente avvicinatosi a Washington e Bruxelles dopo che nel 2020 la Russia si era ben guardata dal bloccare l’aggressione militare azera che condusse alla perdita, da parte dell’Artsakh, della maggior parte dei territori conquistati negli anni ’90. Ora ci si è messa anche l’adesione alla Corte Penale Internazionale – che Pashinyan afferma di voler utilizzare per denunciare i crimini di guerra azeri – ad allontanare i due paesi. All’ultima riunione della CSI (la Confederazione degli Stati Indipendenti guidata da Mosca) Pashinyan non si è fatto vedere. Per tutta risposta la Russia blocca da settimane le merci armene dirette all’interno della Federazione e accampa scuse per non consegnare a Erevan armi che gli armeni hanno già pagato, per quanto a prezzo di favore, in quanto entrambi i paesi aderiscono al Trattato per la Sicurezza Collettiva dal quale però Pashinyan si è ormai di fatto ritirato visto l’immobilismo dell’alleanza militare nei confronti dell’aggressività azera.
L’alleanza tra Russia e Azerbaigian
Dissidi politici a parte, inoltre, Mosca non vuole inimicarsi la Turchia, con la quale negli ultimi anni ha intavolato una altalenante ma utile relazione che accentua la già consistente distanza tra Erdogan e l’Alleanza Atlantica. Per non parlare poi degli interessi economici e commerciali della Russia in Azerbaigian in un momento delicato come quello venutosi a creare dopo l’invasione dell’Ucraina. Pochi giorni prima che le truppe di Mosca violassero i confini di Kiev, Russia e Azerbaigian hanno firmato un importante trattato politico-militare allargato poi al fronte energetico: l’Azerbaigian acquista già ingenti quantità di gas russo – potendo così destinare all’esportazione quello estratto in patria – e presto farà lo stesso con il petrolio, consentendo a Mosca di aggirare l’embargo sugli idrocarburi decretato da UE e USA.
L’Armenia rischia il tracollo
Se davvero Aliyev decidesse di infliggere a Erevan un ulteriore colpo invadendo il paese e occupandone le regioni meridionali, l’Armenia potrebbe opporre davvero una flebile resistenza, non potendo contare né su ingenti risorse economiche utili a riempire gli arsenali né su alleati internazionali di peso disponibili a mettersi di traverso.
Nelle ultime settimane sia l’amministrazione Biden sia il governo francese sia i dirigenti delle istituzioni europee hanno aumentato la pressione su Baku affinché desista dai bellicosi propositi. Washington, ad esempio, ha sospeso il rinnovo della deroga che le consente di eludere il Freedom Support Act, provvedimento che impedirebbe di fornire aiuti militari all’Azerbaigian aggirato sistematicamente dal 2002.
Ma la finestra apertasi dopo la sconfitta dell’Artsakh e l’esplosione delle crisi in Ucraina e Palestina, potrebbe rappresentare un’occasione davvero troppo ghiotta per convincere Erdogan e Aliyev a rinunciare ad una vittoria che cambierebbe in maniera netta gli equilibri politici, economici e militari di tutto il Caucaso.
Sarebbe una catastrofe per l’Armenia che potrebbe addirittura collassare come paese. Ma anche per Putin, che pure negli ultimi anni non ha voluto e potuto intervenire per bloccare le pretese dell’alleato azero, si tratterebbe di un colpo significativo alla sua influenza nel Caucaso, dove l’egemonia di Turchia e Azerbaigian diventerebbe difficile da contrastare.
Per ora i vari attori internazionali fanno qualche timido passo: Parigi ha annunciato che aprirà presto un ufficio dell’addetto militare a Erevan e un consolato a Syunik, unendosi così a Iran e Russia. Ma nessun paese, da oriente a occidente, ha finora imposto sanzioni a Baku, anche se il parlamento europeo ha approvato nei giorni scorsi una risoluzione in tal senso.
Intanto le truppe azere, il 23 e 24 ottobre, hanno in programma esercitazioni congiunte con alcuni reparti dell’esercito turco in Nakhchivan e nel Nagorno-Karabakh. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.